La lettera di Felice Maniero: le regole della Mala, il primo compito nelle bande criminali? Commettere un omicidio

Domenica 11 Ottobre 2020
La lettera di Felice Maniero: le regole della Mala, il primo compito nelle bande criminali? Commettere un omicidio
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Parla Felice Maniero, ex boss della Mala del Brenta, in una lettera scritta all'Adnkronos dal carcere di Pescara. «Quarant'anni fa vigeva un ordine imperativo: "mai creare allarme sociale".

Non perché fossimo virtuosi, ma perché lo ritenevamo sconveniente: sarebbero arrivate più forze dell'ordine, più magistrati e la lotta contro di noi sarebbe stata molto più intensa». Inizia così la lunga lettera scritta da Maniero.

"Faccia d'angelo", capo indiscusso della Mala del Brenta, è tornato dietro le sbarre esattamente un anno fa con l'accusa di aver maltrattato la compagna. Martedì prossimo siederà davanti alla I sezione penale della Corte di Appello di Brescia per il processo, difeso dall'avvocato Rolando Iorio già legale di Angelo Izzo. «Mi scusi per l'orribile disordine - scrive a penna - la prego di correggere l'ortografia e il testo».

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Felice Maniero, il criminale incallito, quello delle rapine e del traffico d'armi, degli omicidi e dell'associazione mafiosa, chiede scusa per gli eventuali errori «nonostante il mio master in terza media - scherza - ottenuto solo perché il preside di quella scuola ormai preistorica mi ha fatto giurare che non mi sarei più fatto vedere in zona». La mala-vita che lo ha confinato per lo più in celle dalle quali è fuggito, ha chiesto di essere trasferito e ha progettato un'esistenza diversa, era altro rispetto a quella di oggi. «Noi non abbiamo mai permesso estorsioni, pizzi o reati simili in tutto il Veneto - chiarisce l'ex boss oggi 66enne - Ma soprattutto mai abbiamo ucciso appartenenti alle forze dell'ordine. Un esempio su tutti: quando siamo fuggiti dal carcere di Padova avevamo una trentina di agenti penitenziari legati mani e piedi. Essendo tutti ex carcerati, qualche sassolino dalle scarpe se lo sarebbero tolto volentieri. Io non l'ho permesso e premetto che abbiamo commesso 7 omicidi tra bande rivali venete e moltissimi reati gravi nell'arco di trent'anni».

«Ti assicuro che nel crimine organizzato non esistono onore, lealtà, altruismo, verità o amicizie sincere - ribadisce Maniero - solo una lotta senza quartiere tra adepti per accaparrarsi una zona in cui spacciare droga, effettuare omicidi ed estorsioni. Devi sapere che ti daranno, come primo compito, l'ordine di commettere diversi omicidi per dimostrargli che puoi appartenere al loro clan, invece farai esclusivamente un importante e gratuito favore al tuo boss, uccidendo alcuni suoi nemici pericolosi per lui e inizierai la tua auspicata carriera con un malvagio imbroglio, commettendo reati che portano all'ergastolo. Immaginando di poter essere tuo papà ti dico: rifiuta e caccia per sempre colui o coloro che ti accenneranno perfide proposte. Se cadi in quel girone infernale, talvolta anche la morte potrebbe essere una scelta migliore».

 

L'ex boss del Brenta, che dal carcere è evaso tre volte (da Fossombrone nel dicembre 1987, da Portogruaro nel 1989 e da Padova a giugno 1994) liquida Jhonny lo zingaro così: «È sempre stato uno squilibrato barbone, la sua fuga con il ricovero in una baracca abbandonata e l'arresto poi confermano la mia opinione».

Tutt'altra idea su Graziano Mesina: lui, scrive nella lettera, «senza alcun dubbio si era preparato da tempo alla latitanza. È una persona pericolosissima, soprattutto nell'organizzare sequestri di persona, e molto furba. Ritengo che, età permettendo, prepari qualcosa di clamoroso, presumibilmente un attentato alle forze dell'ordine».

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