Giulio non ce l'ha fatta, addio al guerriero che si era tatuato «Non mollare mai»

Domenica 31 Luglio 2022 di Diego Degan
Giulio Marcato e il Policlinico San Marco
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CONA - «Never back down», «Non mollare mai». Giulio se lo era fatto tatuare sul petto questo motto. E lui stesso se lo era tatuato nella mente. Da molti anni, nonostante ne avesse solo 25, lottava contro quella malattia che gli aveva colpito il sistema nervoso periferico, rendendogli sempre più difficile camminare e causandogli frequenti attacchi di dolori fortissimi. Alla fine aveva anche preso il Covid e quello è stato l’ultimo atto. Giulio Marcato è morto mercoledì scorso, al Policlinico San Marco, di Mestre, nonostante la strenua resistenza che lui e la sua famiglia avevano opposto alla malattia, a quanto pare di origine genetica, e quel “non mollare mai” è scritto nella sua epigrafe, a ricordare la sua lotta e quella dei suoi genitori.

LA LOTTA
La famiglia, formata dal papà Ermes e dalla madre Cinzia, oltre allo stesso Giulio, figlio unico, abita a Cona, in via Trieste.

Per molti anni Giulio ha resistito alla sua patologia: andava a scuola, si muoveva in bicicletta da Cona a Pegolotte, il borgo principale del comune, dove incontrava gli amici e passava con loro il tempo della giovinezza. Si vedeva che aveva qualche difficoltà a muoversi, racconta chi lo ha conosciuto. Ma era una difficoltà relativa, alla quale ci si abituava. O, almeno, si abituavano gli altri. Come la vivesse Giulio è impossibile saperlo, ma lui faceva di tutto per avere una vita “normale” e i genitori non hanno mai chiesto “aiuti” particolari a causa delle condizioni del figlio. La mamma, da anni, lavora nella cooperativa che fa le pulizie in Municipio, ma ben poco raccontava delle difficoltà di Giulio. Tranne, forse, che negli ultimi mesi, quando il ragazzo che, pure era abituato ad entrare e uscire dagli ospedali, aveva cominciato una serie di ricoveri inframmezzati da brevi ritorni a casa, in condizioni peggiorate a causa del Covid. Ma lui resisteva, fedele al suo motto. E i suoi genitori pure: il padre andava a vegliarlo di notte, la madre al pomeriggio. La donna tornava tutte le sere, verso le nove e, dalla stazione ferroviaria di Foresto, tornava a Cona, percorrendo i circa cinque chilometri tra i due paesi, in bicicletta, se qualcuno gliela prestava, a piedi, se non accadeva. Un comportamento eroico, che qualcuno, a mezza voce, racconta solo adesso e di cui la signora Cinzia non si è mai lamentata con nessuno. Quello che raccontava, invece, era la sofferenza del figlio, la sua preoccupazione per l’esito della malattia (il Covid, in questo caso) che ne aveva aggravato le condizioni generali, costringendolo a letto e togliendogli anche quel po’ di mobilità che ancora gli permettevano le sue gambe. Alla fine, anche Giulio ha dovuto arrendersi e i compaesani l’hanno saputo giovedì, dalle epigrafi che annunciano la recita del rosario per domani, lunedì, alle 20.30, nella chiesa parrocchiale di Cona e i funerali, il giorno dopo, alle 10.30, nella stessa chiesa. 

Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 18:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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