VENEZIA - «Quando sono andato a Venezia, mi sembrava incredibile eppure così semplice che il mio sogno fosse divenuto il mio domicilio». Marcel Proust scrive così a madame Èmile Straus mel 1910 dopo un soggiorno nella città lagunare. Ed è una riflessione che calza bene al monumentale lavoro di Servane Giol, parigina di nascita, veneziana ormai da molti anni, che ha realizzato un libro prezioso dal titolo Un invito a Venezia (Marsilio, 65 euro).
RACCONTI E NARRAZIONI
Arricchito da una prefazione di Pierre Rosenberg, già direttore del Louvre a Parigi e da anni cittadino veneziano, e con le affascinanti immagini di Mattia Aquila, Servane Giol consente al lettore di fare un vero e proprio viaggio nella storia di alcune delle famiglie patrizie della città. Un'operazione senz'altro non facile, ma che è mantenuta in equilibrio grazie alla capacità di raccontare vicende, dinamiche familiari e del jetset a partire dalla fine dell'Ottocento e lungo buona parte del Novecento. Una storia non ufficiale (e che magari può anche diventarlo) grazie alle suggestive fotografie di uomini e donne immortalati nel loro ambiente; che senz'altro hanno condotto una vita agiata e che vengono ripresi nei loro momenti più intimi. Foto di nozze nobili in una cornice di gondolieri in alta uniforme, vestiti da sposa con lungo strascico; ritratti in bianco e nero di forte suggestione, in pose serie ma affascinanti. Fino ad arrivare ai protagonisti di oggi, quei residenti, fieramente veneziani e che - per loro fortuna - sono gli eredi di grandi possidenti oppure self made men che hanno costruito la loro ricchezza con il lavoro.
Ma quello che più coinvolge nel libro di Servane Giol è il gioco tra passato e presente. E in questo senso appare interessante l'itinerario proposto che, se da un lato offre testimonianze di ieri, dall'altro mostra luoghi e ambienti come sono adesso o come si sono trasformati in un secolo. Curioso, ad esempio, il capitolo dedicato alle feste. Alcune sono ormai entrate nella storia dei grandi appuntamenti mondani da quelle con Gabriele D'Annunzio fino alla mitica festa di Carlos de Beistegui a Palazzo Labia nel 1951 recentemente riproposta in una nuova versione solo nel 2019. E quindi sfogliando il volume ci si imbatte nei biglietti di invito; nelle fotografie dei protagonisti di quell'evento.
NON SOLO MONDANITÀ
Ma al di là della mondanità, Servane Giol ci tiene a mettere in mostra le manifatture: le arti decorative per l'arredamento, lo specchio, il vetro, i tessuti, il merletto, la ceramica, la porcellana fino allo stucco. Un ricchissimo e inestimabile patrimonio condiviso da quello che oggi potremmo chiamare il brand veneziano. E tutto all'insegna dello straordinario come dice Giol: «Ho scelto - avverte l'autrice - una modalità inedita di raccontare l'eccellenza veneziana: le arti della tavola, gli oggetti decorativi, le feste, le musiche. I palazzi della Serenissima sono gli scrigni, gli artigianati artistici ne sono l'ornamento. Specchi, vetri, fili d'oro, pizzi tutti materiali dello straordinario, dai nomi evocativi; tutte queste eccellenze veneziane, oggi un po' in disuso, sono e resteranno indissolubilmente legate alla città lagunare e ai suoi homo faber. Ora grazie alle ricerche condotte negli archivi Arrivabene e Frigerio Zeno è possibile svelare almeno in parte il modus vivendi di coloro che abitarono questi meravigliosi palazzi nel Novecento, la loro raffinata arte del ricevere, tanto legata all'artigianato». E infine ci pensa proprio Pierre Rosenberg a dare il senso del lavoro dell'autrice: «Giol - dice - tesse l'elogio di una art de vivre dettata dalla geografia unica della città: l'acqua onnipresente che la circonda e la isola imponendo agli abitanti un modo di vita adeguato». E aggiungiamo: anche moderno.
(Nella foto l'autrice Servane Giol)