Leo Collovini, l'inventore dei passatempi da tavolo: «Lavorare è un gioco»

Venerdì 4 Febbraio 2022 di Vittorio Pierobon
Leo Collovini, l'inventore dei passatempi da tavolo: «Lavorare è un gioco»

VENEZIA - Per lui il lavoro è un gioco. Anzi giocare è il suo lavoro. Leo Colovini, veneziano di 57 anni, è uno dei più affermati autori italiani di giochi.

Assieme agli amici e soci Dario De Toffoli e Dario Zaccariotto, gestisce Studiogiochi, società leader in Italia e tra le più quotate in Europa nel settore. Un mondo affascinante e tutto da scoprire per chi - come la maggior parte degli italiani - è ancora fermo al mitico Monopoli. «Il gioco da tavolo è un passatempo poco costoso, che ha il pregio di essere adatto a tutti, grandi e piccoli - racconta Colovini, circondato da scaffali con le varie versioni delle sue creature - Anzi può essere considerato un collante che unisce le famiglie nei momenti di svago. Una scatola costa mediamente attorno ai 30 euro e si può utilizzare potenzialmente all'infinito, anche se dopo un po' è meglio cambiare. E in questo senso non c'è che l'imbarazzo della scelta, ogni anno vengono sfornati 6-7mila nuovi titoli».


I CRITERI

Ancora realizzati con gli antichi ingredienti: carte, dadi, tabellone e marca persone. Niente elettricità ed elettronica, nulla a che spartire con i videogiochi: «Quello è un altro mondo, il nostro può essere paragonato a quello dei libri. I videogiochi appartengono ad un'altra fascia di mercato e non ci può essere competizione, noi siamo più di nicchia. In Italia una nicchia piccola, in altri Paesi, in primis la Germania, il mercato è molto più ampio. Quando un gioco da tavola arriva a vendere diecimila copie è già un successo». Colovini, questo successo lo ha raggiunto da tempo. Ha pubblicato quasi cento titoli e con i contratti già firmati arriverà a 104. Nel suo palmares ci sono grandi successi mondiali: Inkognito il gioco uscito nel 1988, ha sfiorato il milione di copie e gli ha cambiato la vita. Da tranquillo cassiere alla Cassa di Risparmio di Venezia a guru dei giochi da tavolo. Ma forse era un predestinato. «Io ho sempre avuto la passione per i giochi, mi piaceva modificarli, elaborarli, creare delle varianti. La svolta è arrivata quando ho iniziato ad appassionarmi agli scacchi, ero abbastanza bravo per la mia età e mia mamma mi ha iscritto al circolo Esteban Canal, sotto la guida del maestro Antonio Rosino, avevo undici. Quel circolo era frequentato anche da Alex Randolph, un grandissimo autore di giochi da tavolo statunitense, uno dei più famosi all'epoca, che ha trascorso l'ultima parte della sua vita a Venezia. Lui cercava persone disponibili per testare le sue nuove creazioni e così io ed altri ragazzini abbiamo iniziato a frequentare il suo studio a Santa Maria del Giglio. Per un autore è fondamentale che qualcuno provi nella pratica quello che lui ha ideato. Lui distribuiva cioccolatini a chi vinceva».


IL GRANDE MAESTRO

La vicinanza con il grande maestro ha stimolato la fantasia di Leo: ha capito che qualsiasi situazione della vita può essere trasformata in gioco. Il primo esperimento durante il liceo: riciclando i biglietti, che le bidelle utilizzavano per comunicare le variazioni di orario dei professori, ha costruito una situazione ludica che ha sottoposto a Randolph. Il maestro lo ha modificato un po' e qualche anno dopo lo ha lanciato sul mercato, firmandolo assieme a Colovini. Il ghiaccio era rotto, bisognava farsi venire qualche altra idea. «È stata mia mamma a darmi l'ispirazione vincente. Eravamo negli anni Ottanta, a Venezia stava esplodendo il Carnevale, e mi ha suggerito di provare ad ambientare un gioco in quel contesto. Ho comprato una mappa turistica della città e ho cominciato a pensare a qualcosa di misterioso e intrigante. Quando mi è sembrato pronto l'ho portato da Alex che l'ha approvato e mi ha aiutato a lanciarlo. Lo abbiamo chiamato Inkognito».
IL SUCCESSOUn successo immediato. Era il 1988, da quel momento le vendite non si sono più fermate, Inkognito continua ad essere, nelle edizioni aggiornate, ancora richiesto. Nella sola Germania ne sono state vendute 500mila scatole. Venezia si ritrova spesso come sfondo dei giochi inventati da Colovini, come si evince già da alcuni titoli (Doge, Venezia 1848, Venezia 2099, Marco Polo). Amore per la città o utilizzo di un marchio vincente? «Sono fiero di essere veneziano, anche se ora vivo a Mestre, e mi piace che nei giochi ci sia la mia città. Certo, ammetto, che con Venezia è tutto più facile. Ora stiamo lavorando ad una escape room da tavola ambientata tra le calli con personaggi ispirati all'epoca della Serenissima. Abbiamo realizzato anche una versione veneziana di Monopoli con gondole, corni dogali, colombi e maschere come simboli dei giocatori. Purtroppo la licenza di Monopoli prevede che il gioco abbia alcuni punti fermi che non possono essere modificati. Tra questi la casella parcheggio. Noi abbiamo obiettato che a Venezia non ci sono le macchine, ma non ci è stato consentito di chiamare la casella darsena o cavana come avremmo voluto».
IL GIOCHIFICIOVenezia, grazie a Colovini e al suo team (Studiogiochi ha una decina di dipendenti e numerosi collaboratori che lavorano nella sede vicino alla Scuola di San Rocco, è diventata una delle capitali del gioco da tavolo. Una fucina. Non solo giochi da tavolo, ma anche cruciverba, sudoku e varianti varie che vengono preparate per essere pubblicate sulle pagine dello svago della maggior parte dei giornali italiani. Esce dal giochificio di Colovini & C. anche Reazione a catena. L'intesa vincente, il gioco ispirato al programma televisivo estivo. Quello di Studiogiochi è un successo poco appariscente che, come spesso accade, è più evidente se visto da lontano.


ARCHIMEDE

Annualmente Colovini, assieme a De Toffoli e Zaccariotto, organizza a Venezia il Premio Archimede una sorta di Festival di Sanremo dei giochi da tavolo, che richiama centinaia di autori dall'Italia e dall'estero. Nell'edizione del 2021, i partecipanti sono stati quasi 300, giudicati da una giuria internazionale. «Alla fine abbiamo scelto 17 finalisti - spiega Colovini - e per una settimana i giurati hanno provato i giochi, prima di decretare il vincitore. Sono ovviamente tutti giochi inediti, ma già sette dei finalisti hanno ottenuto un contratto da un editore. Nel nostro mondo funziona così, bisogna passare per una fiera o per in concorso per farsi conoscere. La pandemia ci ha penalizzato molto». Anche Colovini ha avuto la consacrazione attraverso le manifestazioni internazionali di settore. Per ben sei volte giochi ideati da lui sono entrati tra i tre finalisti allo Spiel dies Jahres, una specie di Oscar del settore. Finora ha solo sfiorato il premio assoluto. «Non mi posso lamentare: entrare nella terna finale tra 8mila correnti è già un successo. È come vincere un Oscar collaterale, ma io vorrei vincere, se restiamo nel paragone cinematografico, quello per il miglior film».
 

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