Quel lascito di Marco Polo a favore del convento veneziano dei domenicani

Venerdì 19 Novembre 2021 di Alessandro Marzo Magno
Il lascito notarile

VENEZIA - Diavolo di un Marco Polo, non finisce mai di stupire. Pensi di sapere tutto, o almeno molto, su di lui e invece zac, ecco che esce un nuovo documento. In effetti in questi ultimi anni di testimonianze su Marco Polo ne sono emerse parecchie, sia in quella miniera ancora piena di sorprese che è l'Archivio di stato dei Frari, a Venezia, sia nell'Archivio di Treviso.
In questo caso si tratta di un atto notarile del 1323 un anno prima che il viaggiatore, ormai settantenne, morisse in cui Marco Paulo de confinio Sancti Ihoannis Grisostomi fa da testimone per l'accettazione di un lascito testamentario a favore del convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo.

La pergamena è riprodotta in un volume pubblicato di recente, edito dalle Edizioni Ca' Foscari, «Ad consolationem legentium». Il Marco Polo dei Domenicani, a cura di Maria Conte, Antonio Montefusco, Samuela Simion.


L'ATTO

uesto documento è importante perché sottolinea i legami profondi che intercorrevano tra Marco Polo e i domenicani; non che queste relazioni fossero una novità, per esempio i religiosi che accompagnano un tratto del viaggio di Marco con il padre Nicolò e lo zio Matteo, sono due domenicani: Guglielmo da Tripoli (di Libano) e Nicolò da Vicenza. Quel che non si sospettava è invece che il viaggiatore ricoprisse una posizione importante nel convento di San Zanipolo, come lo chiamano i veneziani. I frati dovevano accettare un generoso lascito di tal Giovanni dalle Boccole e, riuniti in capitolo, si avvalgono di alcuni testimoni, tre sono Marco Polo, mercante; Nicolò Querini, patrizio; Nicolò Zancani, pievano di San Pantalon. «Ce n'erano anche altri», spiega Marcello Bolognari, il dottorando in filologia medievale e latina che nel 2019 ha materialmente effettuato la scoperta, «ma evidentemente vengono citati soltanto i tre testimoni più importanti che assistevano i frati riuniti in capitolo».
Come spesso accade, le scoperte si fanno perché si cerca qualcosa e si trova dell'altro. Bolognari è partito dall'edizione del testamento di Marco Polo curata da Tiziana Plebani, già bibliotecaria alla Marciana: voleva reperire notizie riguardo a due frati nominati nel testamento e così si è messo a consultare il fondo archivistico del convento di San Zanipolo. E lì, tra gli atti notarili dei testamenti, ha trovato questa pergamena che cita Marco Polo. Ormai lo spoglio del fondo notarile dei testamenti del primo Trecento è quasi alla fine, ma in seguito Bolognari comincerà a guardare tra le carte dei procuratori di San Marco e chissà che qualche cosa non possa venir fuori da lì.


IL MILIONE

Antonio Montefusco, curatore del volume e docente di Letteratura latina medievale a Ca' Foscari, spiega che la conoscenza del Milione di Marco Polo si è diffusa proprio grazie ai domenicani, in particolare per via della traduzione in latino del frate Francesco Pipino. Il Milione è stato scritto in franco-italiano, l'opera, si sa, era stata dettata da Marco Polo, mentre era prigioniero a Genova, a un pisano, Rustichello. Qui bisogna fare una precisazione: le rappresentazioni ottocentesche che mostrano il veneziano dettare le sue memorie nel buio di una cella, sono un falso storico. Novemila pisani erano stati catturati dai genovesi quattordici anni prima, nella battaglia della Meloria. Non saranno mai liberati e comunque dovevano provvedere al proprio sostentamento, alcuni pisani avevano così organizzato uno scriptorium, attività piuttosto comune in tempi di diffuso analfabetismo. Rustichello faceva parte di questa struttura, era un romanziere che scriveva in francese e questo spiega perché la prima versione del libro di Marco Polo, intitolata Devisement dou monde, sia stata redatta in quella lingua, e anche perché l'unica copia esistente si trovi a Parigi, nella Biblioteca nazionale di Francia, assieme ad altre opere medievali in lingua francese.


IN LATINO

Di recente (2007) la studiosa Chiara Concina ne ha individuato un paio di frammenti all'interno di altri codici manoscritti francesi. Anche nello scriptorium dei pisani a Genova, nota Montefusco, si nota un'influenza dei domenicani nel tipo di testi che ne escono. Dopodiché, come detto, fra' Pipino traduce l'opera in latino, molto probabilmente su commissione dell'Ordine. Non conosciamo quale circolazione abbia avuto il libro nella versione franco-italiana, sappiamo invece che il vero stimolo alla diffusione è venuta dalle traduzioni in latino. Ne viene realizzata un'altra, proprio nel convento dei Santi Giovanni e Paolo, basata su una traduzione veneziana.
«Vi sono piccoli dettagli nel testo», precisa Montefusco, «che è difficile pensare siano stati aggiunti da qualcuno che non fosse chi ha compiuto il viaggio». Quindi se ne può dedurre che questa versione latina sia stata scritta sotto il controllo dell'autore che era presente e ricopriva una posizione importante all'interno di San Zanipolo. «È una versione quasi perduta», sottolinea Montefusco, «la conosciamo attraverso un manoscritto latino non fedele e grazie a quella di Giovanni Battista Ramusio, molto rimaneggiata».
Tutto questo interesse dei domenicani nei confronti di Marco Polo si spiega con l'attività dell'Ordine. Il Milione era per i domenicani fonte autorevole per conoscere l'oriente e la Via della Seta. Si trattava di una specie di guida che permetteva di apprendere particolari sulle città che si attraversavano e sul credo religioso delle popolazioni che le abitavano. «Per chi andava a predicare e a convertire, era fondamentale sapere con quale fede si avesse a che fare», precisa Montefusco.


IN TELEVISIONE

Nello sceneggiato televisivo Marco Polo, con la regia di Giuliano Montaldo, uno dei migliori lavori di sempre della Rai, realizzato nel 1982 e trasmesso in 46 paesi, si vedono i due frati domenicani rappresentati come torvi inquisitori. In effetti è vero che l'ordine domenicano forniva gli inquisitori del Sant'Uffizio, ma l'atteggiamento di Guglielmo da Tripoli era ben diverso. Questi, assieme a Nicolò di Vicenza, aveva lasciato il mercante veneziano prima che si inoltrasse in zona di conflitto, ma dimostrava un grande interesse per il mondo islamico, cosa non scontata in quei tempi. «I domenicani», dice ancora Montefusco, «cercavano di capire, era considerato più importante dello scontrarsi». Tutto questo si rifletteva anche sulla relazione, così intensa, tra l'ordine domenicano e Marco Polo, la reciproca collaborazione, la presenza del mercante nel convento dei Santi Giovanni e Paolo, svelata dal documento ritrovato ai Frari e ora disponibile per tutti nel libro pubblicato da Ca' Foscari.

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