Joseph Brodsky, il Nobel per la letteratura che volle essere sepolto a Venezia

Lunedì 23 Aprile 2018 di Alberto Toso Fei
Il ritratto realizzato da Bergamelli
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VENEZIA - A Venezia non era nato né vi morì, ma vi fu sepolto: il suo corpo finì a San Michele in Isola per una curiosa controversia tra la famiglia e il governo russo. Perché Iosif Brodskij, poeta russo che divenne statunitense col nome di Joseph Brodsky, con Venezia ebbe sempre un rapporto particolare, eternato nel suo “Fondamenta degli Incurabili”, senza alcun dubbio una delle maggiori opere mai scritte sulla Venezia intima e dei sentimenti (ma che non lesina critiche dure a chi voleva e vuole distruggerla), composta poco dopo il conseguimento del Nobel per la letteratura nel 1987.



Nacque nel 1940 in una famiglia ebrea di San Pietroburgo, che allora si chiamava Leningrado ed era sotto assedio nazista e i suoi primi anni di vita, per niente facili, coincisero con quelli della seconda guerra mondiale. Anche la giovinezza fu travagliata: a quindici anni Brodskij abbandonò la scuola e si mise a fare il tornitore in una fabbrica, e poi il dissezionatore di cadaveri con l'intenzione di diventare medico, il fuochista, il guardiano di un faro, il geologo.

Una irrequietezza che tentò di sedare nutrendosi di letture e di studi da autodidatta, fino ad avvicinarsi alla poesia. Nel 1961 fu arrestato dal KGB per aver progettato di fuggire all'estero, ma fu rilasciato due giorni più tardi. Nello stesso periodo fu introdotto ad alcune poetesse, in particolare Anna Achmatova, presso il cui circolo conobbe Marianna Basmanova, destinata a diventare sua moglie e madre di suo figlio Andrej.

Ma ogni cosa precipitò presto: la separazione dalla moglie, l'accusa di “parassitismo” (prendendo a pretesto proprio le sue poesie, estrapolate dal loro contesto), un tentativo di suicidio, l'arresto (il 13 gennaio 1964) e un attacco di cuore che ne minò per sempre la salute. Nel marzo del 1964 fu condannato a cinque anni di lavori forzati, ma la sollevazione del mondo intellettuale e accademico europeo suggerì alle autorità sovietiche di sospendere la pena. Negli anni successivi la sua attività poetica iniziò a essere sempre più conosciuta all'estero, mentre in patria fu censurato e tenuto costantemente sotto stretto controllo fino almaggio del 1972, quando fu posto davanti alla scelta dell'emigrazione immediata oppure la reclusione in ospedale psichiatrico (dove era già stato ricoverato due volte). Partì. Andò prima a Vienna, poi a Londra e infine negli Stati Uniti, dove prese la cittadinanza, visse e insegnò fino alla morte.

Nel 1987 la consacrazione, col Nobel per la letteratura. Nel 1989, per il Consorzio Venezia Nuova che gli commissionò il lavoro, nacque “Fondamenta degli Incurabili”, che Brodsky scrisse su un unico rotolo di carta e Girolamo Marcello - che lo ebbe ospite nel suo palazzo su Rio de la Verona - raccontava di come il poeta spostò tutti i mobili del salotto al piano nobile, per poter stendere il manoscritto e poterci lavorare.
Il volume divenne da subito uno tra i maggiori classici della letteratura su Venezia; tra le sue pagine brillano denunce sui “politici e i grossi interessi” su Marghera, le grandi navi (allora essenzialmente petroliere), il “ciarpame”, ma anche su chi “blatera di ecologia, salvaguardia, riassetto, patrimonio culturale”. E pronuncia, già nel 1989, con lucida preveggenza, una sola parola per definire tutto questo: “stupro”. Joseph Brodsky morì d'infarto nel suo studio di New York il 28 gennaio 1996, e fu sepolto in maniera provvisoria. La Duma russa avanzò una richiesta di sepoltura nella sua città natale, tornata nel frattempo a chiamarsi San Pietroburgo, ma la moglie (Maria Sozzani, italiana di origini russe sposata nel 1990 e dalla quale aveva avuto una bambina, Anna) si oppose perché “questo avrebbe significato decidere al posto di Brodsky sulla questione del ritorno in patria”.

La soluzione arrivò quando un amico esibì una lettera in cui Brodsky esprimeva ironicamente la volontà di essere seppellito a Venezia. In una intervista, inoltre, aveva dichiarato: "Se dovessi reincarnarmi, vorrei essere un gatto che vive a Venezia, qualsiasi cosa va bene purché a Venezia. Anche un topo". Era comunque una delle città più care al poeta, che prima di scrivere il libro vi era venuto assiduamente per almeno diciassette anni. Così, dal 21 giugno 1997 egli riposa a San Michele (dove è in buona compagnia di altri russi celebri). Sulla sua tomba, ammiratori e poeti lasciano ancora oggi sassolini, calici ripieni di vino, oggetti. Da tempo vi è stata installata anche una cassetta per le lettere.

 
Ultimo aggiornamento: 24 Aprile, 07:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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