La priora: «La mia vita da 40 anni in clausura fra preghiere e WhatsApp»

Sabato 15 Agosto 2020 di Alda Vanzan
Suor Margherita della Croce
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VENEZIA - Ci ha pensato su mezza giornata. Si è confrontata con le sue sorelle. Poi ha comunicato: «Accetto l'intervista. E lo sa perché? Perché vogliamo dire alla nostra città, alla nostra comunità, a tutti i concittadini che non solo soli. Siamo accanto a tutti con le nostre preghiere».
Fino a quando aveva 25 anni si chiamava Margherita Lanfranchi. Viveva in una famiglia che l'amava, l'aveva fatta studiare, da Brescia l'aveva mandata a Padova alla facoltà di Pedagogia dove si sarebbe laureata. Una ragazza come tante. «Truccatissima, con la minigonna, fumavo una sigaretta dietro l'altra». E, come si diceva all'epoca, anni Settanta in piena contestazione studentesca, volantinava, era in prima fila alle manifestazioni. Lei per prima non avrebbe creduto se le avessero detto che sarebbe diventata suora. «Io una suora? Tutte così imbachettate, incasellate? Ma figuriamoci». E invece. Suora. Per giunta, di clausura.

Il suo nome da religiosa è Margherita della Croce. Ha 68 anni. È la priora delle Carmelitane Scalze di Venezia. Il convento è decentrato, a Sant'Alvise, ma tutt'altro che inaccessibile. Si suona il campanello, si entra e all'ingresso c'è un muro con un quadrato di metallo da cui risuona una voce: Prego?. Poi si apre una porta e si entra nel parlatoio. Anni fa, fino al Concilio Vaticano II, qui c'era una grata, chi stava dall'altra parte la si poteva solo intravvedere, zero contatti fisici, neanche una stretta di mano. Era clausura in senso stretto. Adesso le suore si mostrano in volto. Ricevono. Parlano. «I confronti più belli? Con i giovani. Quando vengono qui e ci parlano». Venezia, Cannaregio 3145. Verrebbe da dire un porto di mare. Gente che viene a chiedere un aiuto, a sfogarsi, a parlare, a condividere. «Perché quando lo si espone a un'altra persona, un problema pesa di meno».

La prima domanda è banale: come ci si rivolge a una suora? E a una suora che è la capa di tutte, la madre superiora?
«Mi chiami sorella».

Sorella Margherita, quando ha capito di avere la vocazione?
«La mia è una famiglia cattolica, praticante, che ci ha trasmesso la fede. Papà ingegnere, mamma insegnante, sette figli, io la primogenita. A diciotto anni sono entrata in crisi. Mi sono allontanata dalla chiesa. Cercavo di capire cosa volevo fare da grande. Sposarmi, avere una famiglia? Avere successo nel lavoro? No, volevo di più di un successo che poteva essere vulnerabile, più di un marito e di figli che comunque sarebbero cresciuti e se ne sarebbero andati».

Quand'è che ha capito?
«Mi mancava il senso della vita. L'ho capito l'anno in cui sono andata ad Assisi, per caso, una visita turistica. E invece è stata un'esperienza forte del Signore. Ma mi sembrava impossibile, non riuscivo a crederci. Poi, verso la fine dell'università, quando si trattava finalmente di decidere cosa fare, ho sentito che dovevo mettermi in una posizione di ascolto. Ho avuto paura. Ho accettato il consiglio di un amico: Vai al convento delle Carmelitane Scalze a Venezia, fatti una settimana di prova. E sono arrivata qui».

La prima impressione?
«Quando si è chiusa la porta della clausura avrei dovuto pensare: sono in prigione. Invece mi si è spalancato il mondo. Ho capito che qui stavo bene».

La reazione della sua famiglia quando ha detto che si sarebbe fatta suora?
«Mamma l'ha presa male, era come se avessi distrutto i suoi sogni, mi immaginava sposata e mamma, quindi lei nonna. Papà invece è stato accomodante. Mi ha detto: se questa è la volontà del Signore. Poi, con il tempo, tutti, genitori e fratelli, hanno condiviso la mia scelta. Hanno percepito, venendomi a trovare qui in convento, la mia serenità».

È vero che le suore di clausura non possono cambiare convento?
«I nostri voti sono: castità, povertà, obbedienza. E stabilità. Tu sai che quando entri qui, qui muori».

In quante siete?
«Undici sorelle. La più giovane ha 36 anni, la più anziana 95».

E usate WhatsApp.
«Il telefono è necessario. Internet di più. Sono mezzi da usare con responsabilità e maturità. Servono per essere informate, sono utili perché ci permettono di essere in contatto tra noi sorelle dei vari monasteri. E possiamo studiare, frequentare i corsi del Teresianum, la nostra Pontificia facoltà teologica».
Si offende se le dico che i più pensano che stare chiusi in un convento non sia utile alla società?
«In un corpo ci sono varie parti. E sono tutte non utili, ma indispensabili. Noi sorelle abbiamo bisogno di voi. Ma voi avete bisogno di qualcuno che preghi per chi soffre, per chi sta male, per chi è solo. Noi sappiamo che, pregando, raggiungiamo tutti. Come il sangue nelle vene. Non lo vedi. Ma c'è, scorre. Non puoi vivere senza. Noi non siamo avulse dalla realtà. Siamo vicine alla nostra città. Dall'aqua granda del novembre 2019 alla crisi economica provocata dall'emergenza sanitaria del coronavirus, sappiamo che Venezia è stata colpita nel profondo».

Ha detto che tanta gente suona al monastero. Cosa chiede?
«Preghiere. Per situazioni familiari disastrose, quante ce ne sono. Per i malati. Per il lavoro. Ce ne sono ben poche di persone che non hanno una croce. Chi può viene di persona, la maggior parte telefona. Da dove? Anche dalla Sicilia».

Il lockdown per voi dev'essere stato una passeggiata, siete già abituate a stare al chiuso, in monastero.
«E invece è stato difficile anche per noi. Nessuno poteva più venire in monastero, tutti bloccati. Abbiamo percepito la difficoltà delle persone. E aumentato le preghiere. Una delle più belle esperienze, la santa messa celebrata dal patriarca Francesco Moraglia dalla nostra chiesa, in diretta tv, una delle domeniche del lockdown».

È vero che coltivate una vigna?
«Sì, abbiamo una vigna. La nostra giornata comincia alle 5.30 ed è scandita dalle preghiere personali, la messa, le lodi, il silenzio, il lavoro, fino alla ricreazione dopo cena quando tra sorelle ci scambiamo opinioni e osservazioni. Tra i lavori c'è anche la coltivazione della vigna: il vino lo facciamo noi, lo diamo al patriarca».

Come si diventa priora?
«Con votazione. Ogni tre anni. Il mio mandato scade a settembre».

Come la votazione per sindaco e governatore. In monastero parlate di politica?
«Eccome. Il politico che preferisco? Ma le pare che faccia nomi?».

Sorella, l'intervista contempla quattro domande fisse, nel suo caso forse inadatte. Una sarebbe: un aggettivo per descrivere il suo compagno.
«Il mio compagno è Gesù. Ed è un compagno fedele che ha dato significato e gioia ad ogni giorno della mia vita. Non potevo desiderare di più».

Il suo luogo elettivo.
«La mia cella dove prego e lavoro, c'è una grande finestra da cui guardo il cielo. D'estate, invece, una pianta in giardino: con il contatto con la natura mi sembra di essere già in paradiso».

Un capo di abbigliamento che una donna non dovrebbe mai indossare.
«Quei jeans usurati che magari costano 200 euro».

Il regalo più costoso ricevuto.
«Da un punto di vista spirituale, questa comunità di sorelle. Da un punto di vista materiale, il computer ricevuto anni fa dalla mia priora».
 

Ultimo aggiornamento: 17 Agosto, 10:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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