Giovane nomade costretta a rubare per riavere la figlia rapita dai rom

Mercoledì 25 Luglio 2018 di Roberta Brunetti
Giovane nomade costretta a rubare per riavere la figlia rapita dai rom
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VENEZIA Una giovane nomade costretta ai borseggi fra le calli per liberare la figlioletta, sequestrata dai parenti dell'ex marito per un debito di gioco. Una bimbetta di 3 anni, strappata alla madre in stazione a Mestre, quindi tenuta per settimane a Milano, fino al pagamento di 10mila euro di "riscatto". È un'inchiesta che offre uno spaccato sulla vita delle tante borseggiatrici che affollano le calli lagunari, quella aperta dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia per questo caso di sequestro a scopo di estorsione. Racconta di donne prigioniere di un mondo dominato dalla prevaricazione; di ragazzine che crescono di fatto analfabete, senza alternative a quella vita fatta di borseggi e gravidanze, inframezzata di tanto in tanto da qualche periodo passato in carcere. Il sequestro risale al 2016, ma solo in questi mesi la Procura antimafia sta ricostruendo, non senza difficoltà, la vicenda. É tutt'altro che facile, infatti, trovare nel mondo dei campi nomadi qualcuno disposto a testimoniare. Pochissima la fiducia nelle istituzioni, tanta la paura di ritorsioni. Per il momento il pubblico ministero Fabrizio Celenza ha indagato tre uomini e due donne, di nazionalità serba o bosniaca, tra i 25 e i 57 anni. Tutti irreperibili. Secondo l'accusa in due avrebbero materialmente eseguito il rapimento, su istigazione di un terzo, mentre gli altri due si sarebbero occupati di tenere la bambina nel loro appartamento a Milano.

Il rapimento sarebbe avvenuto in stazione a Mestre, luogo di passaggio per questi nomadi che vivono tra i campi di Roma e Milano, ma vengono a lavorare a Venezia, muovendosi in treno e spesso alloggiando per qualche giorno in piccoli alberghi della terraferma. Venezia, infatti, è considerata una piazza irrinunciabile da queste bande, che puntano ai portafogli dei turisti. Migliaia di euro alla settimana il bottino che può guadagnare un singolo borseggiatore, come è emerso anche da queste indagini.
All'origine del sequestro, nella ricostruzione della Dda, un debito che il padre della piccola aveva contratto con alcuni parenti. Proprio per ripagarli, la donna veniva mandata a borseggiare a Venezia. Ma i soldi non bastavano mai, mentre le richieste aumentavano, così come la tensione. Fino al rapimento della piccola. «Se non pagate, la diamo via... Se non pagate, la ammazziamo..» le minacce che si sarebbe sentita rivolgere la donna, secondo la Procura. Per la donna erano state settimane di angoscia. I guadagni dei borseggi non bastavano. Era andata anche in Bosnia a recuperare dei soldi da altri parenti. Alla fine, in un modo o nell'altro, il riscatto era stato pagato e la bambina era tornata dalla mamma.
33 ANNI E 9 FIGLI
Resta aperto il dramma di queste donne e di questi minori, come imprigionati in un sistema senza uscite. La madre di questa storia, a 33 anni, ha già nove figli. Ed è la norma per queste nomadi, senza istruzione, che restano incinte giovanissime e vengono spedite a borseggiare anche con il pancione. Una tattica usata per cercare di evitare il carcere. Capita più di una volta che, dopo l'arresto delle donne, i lattanti vengano portati dagli uomini nelle stazioni di polizia con la speranza di ottenere la scarcerazione delle compagne. Ci sono giudici più rigidi, altri meno. Ma anche quando qualcuna resta dentro, altre la rimpiazzano. E l'impressione è di trovarsi di fronte a uno di quei problemi che la giustizia da sola non ha gli strumenti per risolvere.
Roberta Brunetti
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Ultimo aggiornamento: 08:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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