Intervista a Luca Zaia, «l'inchiesta sul Covid? Se è così nessuno vorrà più gestire le emergenze»

Il governatore del Veneto sulla vicenda che vede indagati Fontana, Conte e Speranza: «Nel 2020 non c'erano le istruzioni, si diceva che era influenza. Non chiedo l'impunità ma il rischio è di fare i burocrati per evitare le cause»

Domenica 5 Marzo 2023 di Alda Vanzan
Intervista a Luca Zaia, «l'inchiesta sul Covid? Se è così nessuno vorrà più gestire le emergenze»

Premette: «I processi si fanno nei tribunali, non nella pubblica via e ho il massimo rispetto nei confronti della magistratura». Rimarca: «Non entro nel merito della vicenda bergamasca, non conosco le carte». Però su un punto Luca Zaia è certo: «Io non chiedo l'impunità, ma quando si è in una fase emergenziale, lo sono anche le decisioni.

Solo che di questo passo, alla prossima emergenza, qualunque essa sia, chi se la sentirà più di fare il commissario? E cioè decidere? C'è il rischio che per non trovarsi coperti di carte bollate, convenga fare i burocrati».

Covid, inchiesta di Bergamo. Brusaferro (Iss) scettico sui tamponi a tappeto: «Tutti pensano che servano a qualcosa...»


Presidente Luca Zaia, da presidente della Regione del Veneto nel febbraio 2020 lei chiuse il paese di Vo dove c'è stato il primo morto in Italia da coronavirus e interruppe il Carnevale di Venezia. Più volte ha ripetuto di aver fatto fare i tamponi contra legem. Adesso il suo collega lombardo Attilio Fontana, l'allora premier Giuseppe Conte e l'ex ministro alla Salute Roberto Speranza sono indagati, assieme ad altre 16 persone, per non aver chiuso la Val Seriana, nel bergamasco.

Che idea si è fatto?
«Rispetto ai fatti di Bergamo io non conosco le carte, però faccio una riflessione. Ho percepito fin dal primo momento che di fronte a una emergenza è fondamentale cristallizzare la situazione al momento zero, perché se fai l'"illuminista" e valuti la storia con il senno di poi, non puoi che avere una visione distorta».
Lei mandò alla Procura tutte le carte, tutte le decisioni assunte.

Perché?
«Per testimoniare, in progress e non alla fine, cosa stavamo facendo. Non era una excusatio, è l'unico modo in cui può agire un amministratore. Ricordo che di Covid si sono occupati quelli che erano in prima linea e ci mettevano firma e faccia, in primis i governatori (e noi presidenti di Regione agivamo come commissari di Governo, tant'è che emettevamo ordinanze, non delibere). C'era anche chi di Covid non si occupava, ma andava in tv a parlarne, a dire tutto e il contrario di tutto, tanto non ci rimetteva nulla».


Le indagini nel Bergamasco sono per epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti d'ufficio. Per 4.148 morti.
«Se si guarda la lista dei potenziali rinviabili a giudizio, tra quei nomi c'è di tutto, c'è tutta la sanità. Non faccio l'avvocato difensore, però prendo atto».


Diceva che di questo passo sarà sempre più difficile gestire una emergenza. Per paura di finire nel registro degli indagati?
«Io ho chiuso Vo', svuotato un ospedale, fatto fare i tamponi a tutti. Ma i primi dieci giorni per me sono stati un massacro mediatico. Non da parte dei cittadini, che, poveri, erano preoccupati e disorientati, ma da parte di addetti ai lavori, anche scienziati. Il mood era: è una banale influenza, Milano non chiude, Roma non chiude. Bene: se fosse stata una banale influenza io oggi sarei processato per danno erariale avendo disposto tamponi che non dovevo fare. Per procurato allarme. Per danni economici alle imprese. Il punto è che quando "fai", c'è sempre un'alea di errore. Ma allora bisogna capirsi su cosa intendiamo per emergenza. Perché se avessi rispettato le carte, non avrei fatto ad esempio i tamponi a Vo', sarei rimasto fermo ad aspettare cosa accadeva».


Sta dicendo che in Lombardia non hanno avuto coraggio?
«No, sto dicendo che oggi si sta facendo un ragionamento col senno di poi. Fino al lockdown il clima in questo paese era uno solo: sbagliato chiudere. Io dico: ricordiamolo. E abbiamo o non abbiamo il coraggio di dire che ci siamo trovati senza le istruzioni per l'uso e tutti a mani nude, medici compresi?».


Quindi se ricapitasse un'altra emergenza cosa dobbiamo aspettarci?
«Fuori dal ragionamento di Bergamo, io dico: se non c'è un minimo, non dico di tutela, ma di comprensione, chi è che si mette a fare il commissario? In una fase emergenziale, quando devi prendere delle scelte, non si può pretendere di spaccare la mela perfettamente a metà. Eppure il Covid ci ha insegnato che un esposto, una denuncia non si nega a nessuno».


È un'accusa?
«Ma no, lo dico in maniera costruttiva. Ho fatto il commissario dell'alluvione, di Vaia, del terremoto, delle bonifiche, ho fatto di tutto. Ma sta diventando problematico, per certi versi drammatico. È come in medicina: l'errore medico non lo si contempla più, fuori degli ospedali trovi gli esperti pronti a consigliarti di fare causa. Ma se si pensa che tutto debba essere fatto alla perfezione, soprattutto nella fase emergenziale, voglio vedere chi si prende questa responsabilità. Uno dice: ma me ne resto sul divano!».


Non è detto che l'inchiesta di Bergamo porti a condanne.
«Anche se non ci fossero rinvii a giudizio, questa vicenda rischia comunque di lasciare un segno. Oggi il tema è sulla mancata chiusura, domani toccherà ai medici, si chiederà loro perché non hanno usato l'idrossiclorochina, perché non hanno fatto le terapie domiciliari, perché hanno dato la tachipirina e non qualcos'altro. Che poi, ci ricordiamo quant'è strano questo virus?».


Cioè?
«Qualcuno dovrebbe spiegarci perché in alcune province del Veneto abbiamo avuto pesanti riflessi del Covid, mentre a Venezia - dov'era in corso il Carnevale tanto che quando ho visto il primo caso ho temuto la strage - il virus è entrato e se ne è andato. Lo stesso vale tra Nord e Sud Italia. Perché?».


Secondo lei?
«Con il Covid-19 la verità assoluta non esiste».

Ultimo aggiornamento: 6 Marzo, 10:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci