Impiegata delle Poste: "Nell'inferno del Covid si impara la gratitudine"

Giovedì 13 Agosto 2020 di Davide De Bortoli
Luigi e Patrizia Piotto
SAN DONA' - Il coraggio di raccontare di aver contratto (e superato) il coronavirus. È quello di Patrizia Piotto, 62 anni di San Donà che ha messo nero su bianco della propria esperienza come ricoverata per 25 giorni all’ospedale di Jesolo. Ha condiviso la stessa sorte del padre Luigi di 93 anni, anche lui una volta contagiato, è riuscito a guarire. E una volta usciti dall’ospedale insieme hanno passato altri 15 giorni di quarantena nella stessa casa. Per lei la possibilità di vedere il marito e i due figli solo dalla finestra per altre due settimane, prima di poterli riabbracciare. Patrizia, ora in congedo, lavora come impiegata allo sportello dell’ufficio postale: 5 anni passati a San Donà, 25 a Passarella, altri 4 circa nella frazione di Stretti. Ha scelto di raccontare la sua esperienza nel libro intitolato “Patchwork - parole dal cuore della quarantena”, presentato al centro culturale Da Vinci per iniziativa del comitato “Se non ora, quando?” che ha raccolto 33 storie al femminile: madri, spose, compagne che hanno vissuto la quarantena. Patrizia, appassionata di pittura e di incisione, spiega di aver iniziato a scrivere quando era ricoverata: «un modo per passare il tempo e reagire, mettere ordine, tornare a sentirsi viva. Ho iniziato a scrivere per me stessa. In ospedale, in quella stanza bianca, distante dall’effetto dei parenti, ero confortata da medici, sanitari, le donne delle pulizie, don Eros Pellizzari. Tutti mi hanno trattata con grande gentilezza, facevo attenzione anche alla loro intonazione della voce. Una volta uscita dall’ospedale ho saputo dell’iniziativa del gruppo “Se non ora, quando?” per cui ho riordinato gli appunti e li ho spediti all’associazione».«Sono arrivata larva in ospedale il 7 aprile - scrive Piotto - penso di essere stata avvolta nel bozzolo per una settimana. Ho scoperto che era Pasqua il giorno di Pasqua, me lo ha detto don Eros. Delle giovani mani femminili e maschili mi hanno curato, pulito, accudito con gentilezza. Appartengono a uomini e donne incappucciati, mascherati, guanti, soprascarpe, casco. Sono larva ma apro gli occhi, riscopro la curiosità di guardare in giro, sono immobile nel mio letto. Non posso muovermi, non ne ho la forza, 15 giorni di febbre alta, i polmoni dolorosamente malati, non respiro, la schiena piagata. Ho la bombola e l’ossigeno a un livello troppo alto. Però posso guardare le borse ferme laggiù, piene di roba che mia sorella Manuela ha consegnato al triage». «Cosa ho imparato dal covid? La gratitudine. Il grazie per ogni gesto che mi è stato offerto, per ogni parola di incoraggiamento, per le parole tranquille di Denis che mi dicevano: “mangi qualcosa signora, almeno i broccoletti, guardi come sono buoni”. La mia bocca era una graticola di sale grosso, ma li ho mangiati i broccoletti solo per far contento qualcuno che mi aveva trasmesso calore. Grazie allo sguardo di Raffaele che capiva tutto di me, ancora prima di me. Grazie all’allegria di Giulia, di Sara e di tutte le altre. A Chiara di Musile, la signora delle pulizie che mi parlava come una mamma e io la attendevo impaziente per dirle che avevo fatto la brava, avevo mangiato tutto. Nessuno aveva paura di me, eppure ero infetta. La loro gentilezza mi ha aiutato molto. Carissimi donne e uomini sconosciuti che, se dovessi ri-incontrare per strada, non riconoscerei. Grazie ancora». Una storia a lieto fine quella di Patrizia e del padre Luigi. «Mio papà non è più attivo come lo era prima - spiega l’autrice  è stato 40 giorni in ospedale, ma ora stiamo bene entrambi». In questi giorni sono entrambi in vacanza, in montagna, al fresco, passando qualche giorno di meritato relax. 
Ultimo aggiornamento: 08:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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