In 300 per l'addio di don D'Antiga. «Mi sospendo da sacerdote»

Domenica 16 Dicembre 2018 di Alvise Sperandio
In 300 per l'addio di don D'Antiga. «Mi sospendo da sacerdote»
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VENEZIA - «Mi sospendo dall'esercizio del ministero sacerdotale». Nessuna retromarcia neppure in extremis per don Massimiliano D'Antiga che ieri si è congedato dalla diocesi, in aperto contrasto con la decisione del patriarca Francesco Moraglia di trasferirlo a San Marco, celebrando la sua ultima messa a San Zulian. Ma mentre, prima della benedizione finale, dal pulpito conferma di mollare tutto, annuncia che alla sua gente non vuole rinunciare: «Non sparirò, resto a Venezia. Quasi tutti avete il mio numero di telefono: chiamatemi pure, avrò la gioia di rispondervi, anzi adesso avrò anche più tempo per stare con voi, magari anche a pranzo. Però non celebrerò più in nessuna chiesa per non gravare della mia presenza un confratello. Celebrerò in un modo diverso, con una situazione che sto studiando».
 

TUTTI IN PIEDI
E giù applausi scroscianti, per la seconda volta, dopo il battimani con tanto di standing ovation guadagnati al termine della lunga omelia proposta ai numerosi presenti. Per l'ultimo atto sono venuti in oltre 300 ad ascoltarlo, cominciando a gremire la chiesa già un'ora prima dell'inizio della Messa. C'erano soprattutto i genitori che hanno perso un figlio, che con il prete si trovavano ogni primo sabato del mese, non pochi dei quali provenienti da fuori città. Un'assemblea composta per la maggior parte da donne e dall'età media elevata. Tra i presenti, in fondo, si sono intravisti l'ex sindaco Giorgio Orsoni e l'ex assessore Augusto Salvadori. Don D'Antiga riceve un gruppo in sagrestia, poi ai piedi dell'altare saluta tutti uno per uno in un clima di commozione: baci, abbracci, molti piangono, più di qualcuno lo tocca come fosse un addio. Si crea la fila, tanto che la Messa comincia con un quarto d'ora di ritardo. Poi il sermone, lungo 24 minuti. Nell'excursus il sacerdote ripercorre tutte le tappe della sua vita e dedica un ricordo tenero al patriarca Marco Cé «che disse al mio parroco: questo diventerà un sacerdote migliore di me e di lei. Mi ha preso per mano con paternità, amore, dolcezza. Se non fosse stato per lui, non sarei qui e forse a qualcuno farebbe piacere. Lui era buono e misericordioso con tutti».

LE PREMONIZIONI
Ricorda gli incarichi ricoperti, la decisione del patriarca di mandarlo a studiare a Roma «si sa che i sacerdoti devono obbedire e andare dove il vescovo li manda», dice lui stesso - fino alla svolta. «Ho avuto tanti sogni premonitori di padre Pio spiega Quando sono arrivato qui la chiesa era buia, tetra, puzzolente. Per le mercerie passa il mondo, sono come il Calvario di Gesù. Ho accolto il dolore della gente e con i genitori dei figli morti abbiamo creato una famiglia. Ho riportato alla casa del Padre tanta gente che si era allontanata. La mia fatica interiore mi ha salvato dall'essere seduttore». Mentre parla la gente lo ascolta in un silenzio assoluto, alternando lo sguardo tra il pulpito e l'albero di Natale con i cuori che contengono i nomi dei figli scomparsi prematuramente e che dopo l'Epifania sarà rimosso. «Tutto ciò che sta capitando è sotto lo sguardo di Dio, lo sta gestendo Lui. Non prestiamo il fianco al demonio che vuole la rabbia, ma con Gesù trasformiamo la fatica e il dolore in un momento di fede. Alla comunione i fedeli vogliono ricevere la particola da lui, la fila è lunghissima e l'accolito che gli sta a fianco si ritrova con le mani in mano.

Quindi, l'ultimo saluto. «Al Patriarca, che come superiore ha il diritto di decidere secondo quello che lui ritiene il bene della Chiesa, già domenica scorsa avevo dato piena disponibilità ad eseguire gli ordini ricevuti», afferma il sacerdote spiegando di aver «cercato di far accettare la decisione ai fedeli» e di aver «preferito di interrompere in una settimana, mentre mi era stato chiesto di arrivare a fine mese, per una questione di opportunità, per ridurre lo stress». «Ma a differenza degli altri preti, nel mio caso c'è un'anomalia: un sacerdote è trasferito da una chiesa a un'altra, con me no, io ho chiesto un periodo di riflessione, di riposo spirituale». Finita la Messa la gente si affolla per salutarlo e poi si cammina per protestare fino al palazzo patriarcale. Qui, dopo pranzo, Moraglia riceve lo stesso don D'Antiga che all'uscita ci mette una pietra tombale: «E' andata malissimo, è stato terribile. Mi ha chiesto di andare da martedì in un monastero a emendare le mie colpe per aver rotto la comunione ecclesiale. Non esiste, anzi sono pronto a difendermi in un processo canonico. E me ne sono andato sbattendo la porta».
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Ultimo aggiornamento: 17:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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