Dopo 6 mesi l'Harry's Bar riapre. Cipriani: «Torniamo all'antico, 30 coperti, meno personale»

Venerdì 28 Agosto 2020 di Maurizio Crema
Arrigo Cipriani
«Finalmente riapriamo dopo più di sei mesi, solo durante la guerra, quando siamo stati occupati dai repubblichini, siamo stati chiusi di più. Servizio solo al piano terra, come per i primi nostri anni d’attività dal 1931 al 1960, ma con solo la metà dei coperti. Il piano sopra sarà per gli eventi speciali. Ci starà meno gente: vuol dire che li faremo pagare di più». Arrigo Cipriani, 88 anni, è il solito ciclone: il suo Harry’s Bar riapre oggi dopo lo stop da Covid iniziato ai primi di marzo ed è impegnatissimo ad oliare al meglio lo storico scrigno del gusto a due passi da piazza San Marco. Un segno di rinascita per tutta la città e per un mondo della ristorazione che vuole ripartire dalla qualità e dai prodotti locali dopo i durissimi mesi della chiusura. Ma lui non ama fanfare e fanfaronate: «Riapro con lo spirito di sempre: attenzione al cliente nel segno della mia tradizione. Il nostro in primo luogo è un servizio».

Un servizio unico e apprezzato.
«L’Harry’s Dolci è aperto da due mesi e mezzo e sta andando benissimo, è sempre pieno. L’Harry’s Bar oggi è già tutto prenotato, e anche per i prossimi giorni non avremo problemi a lavorare».
 Cipriani non teme le regole da Covid?
«Non aspettavo di certo queste regole per tenere a posto il mio locale. Io odio l’odore di cucina, abbiamo un impianto di condizionamento da 40 hp, ricambiamo l’aria 18 volte all’ora e terremo spalancate anche le finestre: sarà come stare all’aria aperta».
E d’inverno?
«La gente si terrà il cappotto».
Al di là delle battute, è dura riaprire con tutte queste limitazioni?
«In entrata ho rimesso le porte da saloon e ci saranno solo una trentina di coperti per garantire il distanziamento di un metro. E poi tutte le altre storie come mascherine e detergenti per le mani. Restano i 15 cuochi ma dovrò rinunciare a una parte del personale e chiuderemo due volte alla settimana il mercoledì e il giovedì invece dell’unico riposo solito. Vuol dire che darò più respiro alle persone».
Non è del tutto contento.
«Non mi piace questo clima. Io sono un negazionista, ma del terrore: questa storia del Covid è come l’effetto serra, ci stanno facendo il lavaggio del cervello. C’è chi è arrivato a prendere a calci in vaporetto chi non aveva la mascherina, come se tutte queste morti fossero solo colpa del virus. E i vecchi a cui hanno spaccato i polmoni per intubarli? Negli Stati Uniti New York è diventata un deserto, non si può riaprire fino a quando lo deciderà il sindaco comunista. Per fortuna nel resto del mondo andiamo bene».
È stata dura in questi mesi di chiusura?
«Tolto la guerra, in novant’anni abbiamo chiuso solo per i lavori di ristrutturazione. E una volta a Carnevale, nel 1990, per protesta contro una festa che non era già più dei veneziani».
Quei veneziani che come lei, dopo l’invasione dei turisti giornalieri, l’alluvione di novembre e l’epidemia del Covid, non si sono ancora arresi. Come vede questa ripartenza?
«Vedo timidi segni di ripresa, anche con qualche turista straniero, ma senza grandi differenze rispetto al passato: ci sono solo soprattutto i visitatori giornalieri, non quelli che si fermano quattro o cinque giorni negli alberghi, ancora per lo più vuoti. Io riapro per loro, per dare un servizio ai turisti veri. E poi spero nella rinascita della città, in nuovi cittadini. Ci vorranno dieci anni almeno per vedere un vero cambiamento. Se arriverà». 
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