La storia di D. 5 anni: il bimbo fuggito dall'orrore con la mamma accolti a Venezia

Mercoledì 9 Marzo 2022 di Tomaso Borzomì
L'assessore Venturini accoglie una famiglia di profughi
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MESTRE - Quindici minuti per prepararsi, salutare gli uomini e fuggire dalla guerra. D. ha cinque anni, ma ha già dovuto lasciarsi alle spalle i suoi giochi, i suoi affetti, le sue abitudini e fuggire via da un orrore che se gli adulti non dovrebbero conoscere, figurarsi un bambino. I vestiti addosso, i documenti, un cambio a testa e via, a prendere uno degli ultimi autobus che li avrebbero condotti in Polonia. Una famiglia di quattro ucraini, nonna, mamma, figlia e figlio minorenni hanno avuto solo il tempo di comprare un modellino di un'auto della polizia polacca, la sola speranza addosso di un futuro diverso. A Venezia. Con il cuore però sempre rivolto a casa, dove i due uomini sono rimasti per spirito di sacrificio a mandare avanti un negozio di alimentari, nonostante l'esonero dalla guerra. I quattro sono scappati dall'est Ucraina, hanno attraversato il confine con la Polonia e lì sono stati accolti da alcuni parenti. Due notti lì, poi il primo autobus per Mestre, dove un'amica gli ha suggerito di venire perché «è un posto sicuro». Venti ore di viaggio in bus, con il bimbo alle prese con le nausee. E il solo sguardo rivolto alla macchinina della polizia per distrarsi: «Il 24 febbraio sentivamo chiaramente le bombe cadere sull'aeroporto militare. I ragazzi erano impauriti, quindi ci siamo spostati a casa di mia madre, un po' più distante», racconta la donna. Già lì è avvenuta la prima separazione dagli uomini di casa, coloro che potevano cercare di dare sicurezza soprattutto al più piccolo: «Siamo rimasti fino al primo marzo lì, finché un'amica ci ha suggerito di partire per Venezia, dove avrebbe potuto darci qualche aiuto. In Ucraina sentivamo le sirene una decina di volte al giorno, eravamo stanchi, preoccupati, i ragazzi urlavano e correvano piangendo». Una tragedia umana e così la decisione di partire. Loro sono qui, ma la testa è rivolta a casa: «Mio padre e mio marito sono venuti a salutarci, ci siamo abbracciati, il tempo di un bacio e via».

Prima Varsavia, poi un altro viaggio interminabile, durante il quale D. ha disegnato: «Aveva un foglio, ha fatto la bandiera dell'Ucraina e la teneva stretta. Vicino c'era una bandiera dell'Italia».

Durante l'intervista i due figli disegnano, usano i colori, fanno un arcobaleno e poi le due bandiere, quella sua, e quella italiana, sopra il quale spunta un cuore rosso e aggiunge: «Grazie», una delle poche parole che ha imparato. Mentre la mamma racconta cosa gli dicono marito e padre dall'Ucraina: «Di non preoccuparci, di essere forti, di andare avanti». Una volta giunti a Mestre: «Una persona del Comune ci ha accolti, ci ha aiutato a sistemarci in hotel e ad ambientarci. Vogliamo ricambiare questa accoglienza, non vogliamo stare stesi in un letto, ma lavorare e contribuire alla comunità italiana».

Il conflitto russo-ucraino è impietoso, ma il Comune ha già messo in campo la sua parte, lunedì l'incontro con Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale: «È stato molto carino soprattutto nel giocare con D., una persona piacevole con cui parlare, ci ha chiesto un po' di informazioni, ci ha detto che si aspettano altri profughi, vogliamo ringraziarlo tanto perché si è dato subito da fare per noi». Nelle parole e negli occhi della famiglia si legge la mancanza di casa: «Vogliamo solo tornare a casa, ma adesso non è possibile». E mentre i sogni dei più giovani non si devono infrangere, con R. che vorrebbe diventare architetto, a spiazzare è ancora una volta l'innocenza di D., che alla domanda su cosa vorrebbe fare da grande, risponde: «Il poliziotto, ma prima aiutare papà». La guerra non è finita e, mentre lui è riuscito a scappare, la cugina è ancora sotto la minaccia delle bombe, come racconta la mamma: «Non disegna più, ma scrive solo War (guerra)».

 

Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 09:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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