Maria Cristina Gribaudi: «Cerco mecenati per i Musei civici veneziani»

Venerdì 21 Agosto 2020 di Edoardo Pittalis
Maria Cristina Gribaudi
VENEZIA - «Riapriamo Ca' Pesaro dopo 10 mesi. Avevamo chiuso il giorno dopo il disastro dell'acqua alta di novembre, ma il 10 settembre ci saremo. E' già una data spinta, incominceremo con un lungo fine settimana, da giovedì a domenica. C'è molta attesa e ci aspettiamo almeno 300 persone al giorno, certo meno della metà rispetto al passato, ma se arriveranno decideremo di tenere aperto tutta la settimana. Abbiamo scelto un periodo importante per Venezia, tra Mostra del Cinema, Premio Campiello e Regata Storica. Avere tutti i musei aperti può dare la certezza di una città tornata alla normalità».
La Fondazione dei Musei Civici di Venezia riaprendo Ca' Pesaro si prepara a un rilancio in grande stile. Da cinque anni il presidente è Maria Cristina Gribaudi, 61 anni, imprenditrice di un'azienda leader nella produzione di chiavi. La Fondazione gestisce 11 musei con 700 mila opere d'arte e 48 mila metri quadrati di spazio espositivo in una città come Venezia che è da sola un museo a cielo aperto. Anche il 2019 è stato chiuso con un attivo che supera i 2 milioni di euro e questo ha consentito di intervenire per Ca' Pesaro il giorno dopo i danni causati dall'acqua alta e da un principio d'incendio che ha mandato fuori uso l'intera rete elettrica.
«Adesso siamo pronti a ripartire. Tutti i grandi eventi previsti sono stati semplicemente spostati di un anno. La grande mostra su Carpaccio a Palazzo Ducale, per esempio: oltre settanta grandi opere e disegni provenienti da tutto il mondo. Qualcosa di mai visto, come spazi avrà la dimensione della mostra di Tintoretto. Ed è solo stata rinviata anche la mostra su Frida Kahlo a Ca' Pesaro, Un ritratto intimo, oltre cento fotografie mai esposte in Italia, abiti, opere di questa donna genio ribelle e ispiratrice della moda del Novecento. E abbiamo bellissimi depositi d'arte che ci consentono di far vedere opere non visibili da moltissimi anni».
Bisognava soltanto trovare il coraggio di ripartire: «Ma ora siamo qui e contenti di esserci. Abbiamo lavorato molto sulla sicurezza specie per le famiglie, anche se guardiamo all'ultimissimo decreto siamo perfettamente all'altezza della situazione. Abbiamo visto in queste periodo che funziona benissimo il meccanismo della prenotazione».
Cosa è cambiato dopo il Covid?
«Siamo rimasti dieci mesi chiusi, senza entrate di alcun tipo. Su undici musei, due Ca' Pesaro e Fortuny sono stati colpiti in maniera forte. A metà giugno siamo riusciti a tenere aperti soltanto Palazzo Ducale e i musei delle isole durante il fine settimana, registrando una media giornaliera di 3300 persone, su tutti i musei dell'area Marciana con 1800 presenze. Per Mocenigo e Ca'Rezzonico il cinquanta per cento di ingressi è una cifra importante, vuol dire che i turisti stanno tornando. Ad agosto finora la Fondazione lavora al 50% delle presenze, si sente la mancanza del turismo americano e asiatico, ma le presenze italiane e europee sono state una sorpresa». 
Cosa avete imparato nel dopo pandemia?
«La necessità di adattarsi a questo mondo che cambia in maniera vorticosa, anche attraverso una pandemia. Bisogna riscoprire la centralità del museo: al di là delle mostre, i musei sono luoghi di cultura diffusa, di educazione attraverso la cultura. Il museo come fabbrica di idee. Per nove anni abbiamo la concessione della scuola Abate Zanetti e questo si rivela una svolta strategica per il settore dei vetri e dei musei collegati. E' una scuola a tutti gli effetti, ho ritirato le chiavi due settimane fa. C'è, poi, il problema di intercettare un pubblico più giovane. Non si può andare nei musei solo tre volte nella vita: quando si è bambini, quando si diventa genitori e quando sono nonni. Il museo deve essere la vita, anche per questo come Fondazione abbiamo restituito alla città undici spazi dove una mamma può cambiare il bambino».
Ma ce la fareste senza il mecenate?
«Per avere un mecenate devi offrire. Deve sentirsi inserito in una visione. Questo lockdown ci ha permesso di fare una riflessione: dire devo riparare questa sedia è fine a se stesso, devo dire cosa voglio fare con questa sedia e spiegarlo. Due grossi gruppi industriali, che hanno chiesto riservatezza, hanno offerto mezzo milione di euro per Ca' Pesaro e mezzo milione per Ca' Rezzonico, il museo d'arte moderna e quello del Settecento veneziano. E come loro ci sono molti altri mecenati, industriali e imprenditori della zona. Tanti ci chiedono cosa possono fare per questa città e per la sua arte. Tra chi ci dà una mano ci sono Louis Vuitton, Piaget, la Lavazza, la Rigoni di Asiago; Chanel ha messo a disposizione 100 mila euro per Ca' Pesaro e altri centomila per il restauro del ciclo pittorico del Sartorio. Un anonimo ha provveduto con 50 mila euro al restauro dei portoni lignei di Palazzo Ducale. Senza scordare le Fondazioni americane e Jèrome Zieseniss dei Comitati francesi per la salvaguardia di Venezia».
Chi è il mecenate oggi?
«C'è un modo diverso di fare impresa e di produrre denaro. Dobbiamo spostarci verso un'economia circolare, sostenibile. Il Covid ha solo accelerato un processo che era in moto. Oggi il mecenate vuole che il suo denaro abbia un fine legato a una visione a medio-lungo termine. Da questo punto di vista la Fondazione è in anticipo, penso all'intervento dello sceicco Al Thani che ha donato un milione e 200 mila euro. Oggi la figura del mecenate è quella di una persona che vuole sapere dove investe e che cosa si fa col suo denaro. Chiara e Francesco Carraro sono un esempio, hanno investito perché l'arte diventasse patrimonio di tutti: per cinque anni abbiamo in concordato la loro importante collezione e faremo un evento dedicato. Così come disponiamo della Donazione Friedman fatta al Museo del Vetro, anche questa sarà esposta il prossimo anno. Un anziano collezionista, Paolo Prast, ci ha appena donato e consegnato 35 opere di altissimo livello: disegni di Schiele, di autori della Secessione Viennese, di Kandisky, opere grafiche di De Chirico, Vedova, Sironi. Anziché vedere la sua collezione andare in frammenti in una bega familiare ha deciso che fosse Ca' Pesaro a disporne».
Dove volete arrivare?
«Il progetto è quello di allargare il fondo di micromecenatismo che è quello che ci ha consentito di restaurare le famose 28 stanze di Palazzo Correr che saranno inaugurate il prossimo anno. C'è la Sala Moresca della quale si sono occupate soltanto le Generali».
Lo Stato aiuta il mecenatismo?
«Ancora troppo poco. Ci sono certo strumenti, qualche bonus, ma si dovrebbe fare di più. Certi interventi in Italia non sono adeguatamente valorizzati e incentivati. Eppure la cultura è l'unica chiave che rappresenta la democrazia, non ha colore, è di tutti. E' il momento di alzare l'asticella».
La preoccupa l'incertezza?
«Mio padre mi ha insegnato ad alzare la mano per dire che hai sbagliato o che hai bisogno d'aiuto. Se gli dicevo che avevo paura, mi rispondeva: Ricordati che la paura è fatta di nulla. E' fatta dei fantasmi dell'incertezza. Noi lavoriamo insieme, porto la mia esperienza di imprenditrice che ha aiutato ad abbattere le barriere gerarchiche e a valorizzare le risorse. Non vengo pagata per i musei, lo faccio gratis. Però, vado fino in fondo, sempre: sono una maratoneta, corro da quando ero ragazzina, non m'importa il tempo, mi piace arrivare alla fine».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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