MESTRE - «Venezia è una città di mare che sul porto ha basato la sua storia e la sua fortuna. Decidere di punto in bianco che il limite massimo è poco più grande di uno yacht significa avere deciso che Venezia non è più un porto ma è poco più di un marina, una darsena». Comincia a farsi strada tra gli operatori portuali e i lavoratori la consapevolezza che il decreto del Governo sulle Grandi Navi nella sostanza uccide questo porto. Chi parla è Filippo Olivetti, titolare della storica agenzia marittima Bassani Holding Spa e delegato di Confindustria Venezia Rovigo per il settore Infrastrutture, e si riferisce al limite delle 25 mila tonnellate imposto per il transito nel bacino di San Marco e il canale della Giudecca.
LA MORTE DI TUTTO IL PORTO
«Soprattutto significa dire stop a tutte quelle compagnie di lusso che portano passeggeri che spendono almeno 1.000 euro a testa al giorno per fare una crociera. E significa dire stop a un indotto economico che permette a tutti i servizi legati al lusso di avere una buona fetta dei propri ricavi, dagli hotel ai ristoranti, dai bar ai negozi di alta moda, fino all'artigianato locale e via di seguito».
C'è un altro aspetto che nessuno ha considerato finora e che, invece, dovrebbe rendere tutti consapevoli che si è nella stessa barca e che non ci sarà chi, nella propria nicchia, potrà salvarsi: perché dalla crisi della crocieristica, o peggio dal suo azzeramento, deriverà anche la crisi del porto commerciale. «È chiaro che il porto commerciale deve mantenere il suo ruolo da attore protagonista del comparto industriale del Veneto, con un valore della produzione di 6 miliardi di fatturato e con oltre 20 mila addetti, ma è bene sottolineare che senza crocieristica, e quindi senza quel giusto equilibrio di traffico commerciale con quello turistico che da sempre rappresenta il traffico generale del porto veneziano, l'immediata conseguenza sarà quella di un porto commerciale che andrà in crisi - spiega Olivetti -: venendo a mancare quote che vanno dal 30 al 40% del fatturato dei servizi portuali, perché è questo che rappresenta la crocieristica ad esempio per i servizi tecnico nautici, di conseguenza le tariffe dei servizi come rimorchio, ormeggio, pilotaggio solo per citarne alcuni, ricadranno con notevoli incrementi sul traffico commerciale rendendolo poco competitivo con i porti limitrofi che sono ancora una volta Trieste e Ravenna».
LA SOLUZIONE MARGHERA
In questo modo, però, il delegato di Confindustria si scontra con tutti coloro, tra operatori portuali, sindacalisti, perfino ambientalisti, che da anni sostengono l'enorme difficoltà di far transitare le navi commerciali e quelle da crociera nello stesso canale, il Malamocco Marghera. «Non sanno di cosa parlano, dovrebbero studiare un po' di storia recente: nel 2008/2009, anni record del traffico a Marghera, transitavano in canale dei Petroli circa un migliaio di navi in più di quelle attuali, quindi oggi c'è tutto lo spazio per ormeggiare 500 navi da crociera accanto a quelle che trasportano merci».
L'APPELLO ALL'UNITÀ
Sono tutte soluzioni fattibili secondo il decreto Draghi per le Grandi Navi, si tratta di capire come sia possibile attrezzare i nuovi ormeggi nel canale Nord in tempo per la stagione 2022. «Va trovata la sintesi tra tutti gli stakeholders, soggetti privati ed istituzionali che hanno interessi e competenze sul porto. Bisogna lavorare assieme come comunità portuale trovando una sintesi su una soluzione condivisa. Non possiamo più permetterci di essere divisi, e dove ognuno cerca di proteggere il proprio orticello. O facciamo squadra o questa volta è davvero la fine del porto».
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