​Il “Marco Polo” di Chioggia che svelò al mondo le meraviglie dell'Asia

Lunedì 3 Dicembre 2018 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
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Viaggiò in lungo e in largo tra Sud-est asiatico e India, dove trovò anche il tempo di sposarsi e di avere quattro figli, lasciando un dettagliatissimo resoconto di viaggio che Poggio Bracciolini inserì nel suo “Historiae de varietate fortunae” e aiutando Fra Mauro a redigere il suo celebre Mappamondo. Ma pur trascorrendo gran parte della vita tra Venezia e il resto del mondo, Niccolò De Conti nacque e morì nella sua Chioggia, dopo un'esistenza avventurosissima.

Nato nel 1395 da Giovanni De Conti (di ascendenze veneziane), attorno ai vent'anni si trasferì a Damasco da dove iniziarono i suoi viaggi esplorativi verso il Medio e l'estremo Oriente, facilitato da una capacità di apprendimento delle lingue – come l'arabo e il persiano – che gli permise di spacciarsi per un mercante islamico e imbarcarsi su navi musulmane.

Le sue peregrinazioni – destinate a durare quasi trent'anni – iniziarono quando si unì a una carovana di mercanti arabi, coi quali raggiunse Baghdad dopo aver attraversato il deserto siriaco. Qui si imbarcò per Bassora, e continuando a discendere il fiume Tigri e attraversato il Golfo Persico si recò in Iran; da questo momento in poi le sue tappe sono quasi impossibili da seguire: attraversò infatti il mare d'Arabia e viaggiò per almeno un paio d'anni in India, per giungere nel 1421 nella parte settentrionale di Sumatra.

Anche qui si fermò per quasi un anno, acquisendo come era nel suo costume la conoscenza dei luoghi, delle usanze, delle lingue e dei commerci. Ripartì per attraversare la Malesia, il Bangladesh, la Birmania; trascorse nove mesi a Giava e infine si recò nel Vietnam. Di ogni cosa che abbia visto, conosciuto, sperimentato o assaporato ci rimane il ricordo dalle sue parole. De Conti descrisse il Sud-est asiatico come “superiore a tutte le altre regioni per ricchezza, cultura e magnificenza, e al pari dell'Italia per civiltà”. La fortuna della sua relazione di viaggio già presso i suoi contemporanei fu dovuta non solo all'eccezionalità dell'itinerario, ma anche alla completezza e all'esattezza delle notizie che trasmise.

Nel 1440 iniziò il lungo viaggio di ritorno, assieme alla moglie indiana e ai suoi figli. Doveva essere il viaggio sereno di un uomo maturo e realizzato, ma si trasformò in un incubo: in Egitto dovette attendere per ben due anni il salvacondotto del sultano per poter attraversare le terre a lui soggette. Fu anche costretto a convertirsi all'Islam per avere salva la vita, ma ciò non lo protesse dal furto di ogni suo avere. E questo fu ancora nulla: un'epidemia improvvisa di peste gli tolse per sempre la moglie e due figli.

Riuscì a tornare a Venezia nel 1444, trent'anni dopo il suo viaggio durato una vita, con i figli Daniele e Maria. Prima di rimettere piede in laguna passò però per Firenze, dove si trovava papa Eugenio IV (il veneziano Gabriele Condulmer), per implorare il perdono per essersi convertito all'islamismo. Il pontefice glielo accordò a patto che narrasse pubblicamente le sue avventure. Fu quella la circostanza che indusse Poggio Bracciolini, allora segretario del papa, a raccogliere il resoconto del De Conti per riprodurlo nella sua opera.

Rientrato infine nella sua Chioggia attorno al 1450, dopo aver trascorso alcuni anni a Venezia, Niccolò De Conti vi ricoprì diversi incarichi: fu procuratore delle chiese di San Francesco e di Santa Croce; fu più volte inviato in ambascerie e ricevette il titolo di conte palatino, con la facoltà di nominare i notai.

La relazione dei suoi viaggi influenzò allora profondamente la comprensione geografica del Sud-est asiatico: descrisse per primo luoghi ancora sconosciuti e contribuì indirettamente alla rivalutazione dell'opera di un altro veneziano, Marco Polo, al cui “Milione” fino ad allora non era stato dato troppo credito. I suoi scritti, oltre a incidere sul lavoro del cartografo Fra Mauro, furono utilizzati da altri esploratori, come Antonio Pigafetta, che circumnavigò il globo al seguito di Ferdinando Magellano. Morì a Chioggia nel 1469: il suo testamento fu aperto dal podestà Nicolò Mocenigo il 10 agosto di quell'anno.
Ultimo aggiornamento: 16:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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