Germano Pattaro, il figlio dei fornai di Castello diventato sacerdote: la sua parrocchia era l'intera città

Lunedì 20 Luglio 2020 di Alberto Toso Fei
Germano Pattaro visto da Matteo Bergamelli
A distanza di tempo, a volte anni, di ogni persona che abbiamo conosciuto – a dispetto della sua levatura culturale, dell'importanza che può aver rivestito per noi e per gli altri, di ciò che abbia fatto o rappresentato – rimane impresso nella memoria perlopiù un particolare curioso, che ne svela il lato più umano e vicino. Germano Pattaro potrebbe essere riassunto in una risata, rumorosa e nasale, che a volte echeggiava per lui solo, quando rideva mentre raccontava qualcosa di divertente. Quella e la sua schiettezza, derivantegli dall'essere nato e cresciuto in una famiglia di fornai di Castello: “Mi co stago ben go el mal de denti”, scherzava su di sé con grande autoironia sui suoi grandi problemi di salute, coi quali fece i conti per una vita intera e che se lo portarono via a 61 anni. Chiunque abbia conosciuto don Germano Pattaro ha il ricordo di una personalità complessa, ricca, curiosa, multiforme, capace di interessarsi con eguale passione alla matematica, alla musica, all'arte e alla letteratura, oltre che naturalmente alla teologia, la dimensione nella quale la carica di passione raddoppiava; fu l'uomo del dialogo e ancora oggi al nome di don Germano Pattaro è legato un Centro di Studi Teologici e una parola: ecumenismo.



Nato il 3 giugno 1925 da Carlo Pattaro e Rosa Marini, perdette la madre a soli otto anni e fu allevato con grande amore – assieme ai fratelli Aldo e Silvana – dalla zia materna Pina. Diventato sacerdote nel 1950, fu presidente della Fondazione Querini Stampalia per la bellezza di un quindicennio, dal 1972 fino al 27 settembre 1986, quando solo la morte riuscì a fermarlo. Collaborò alla realizzazione della Biennale del 1977, dedicata al dissenso negli stati comunisti, di cui coordinò la sezione sul dissenso religioso. Aveva una curiosa frequentazione col mondo artistico veneziano, che era ben poco salottiera: andava a pranzare alla Locanda Montin, allora ritrovo abituale degli artisti (anche del celebre gruppo di Ca' Pesaro). Manifestava un interesse per quell'ambiente.

Non ebbe mai una vera parrocchia e finì per far diventare la sua parrocchia l'intera città, dagli ambienti più intellettuali a quelli più semplici, con una particolare predilezione per i giovani.
Fu anche per moltissimi anni insegnante di religione al liceo classico “Foscarini”: “Ascoltava noi adolescenti perché sapeva che nascondevamo grandi incertezze e paure – raccontò una sua allieva – e dopo averci ascoltato non dava suggerimenti, consigli, soluzioni; trasmetteva solo una profonda fiducia in noi stessi, in quello che potevamo essere e non in quello che dovevamo essere”. Ogni sua azione aveva un forte radicamento popolare, che gli veniva dall’aver sempre vissuto in uno dei sestieri più veraci della città. Ma era pur sempre un sacerdote, con le sue regole e i suoi pudori: appena fatto prete divenne cappellano ai Carmini. Erano i primi anni Cinquanta e con alcune batele, d'estate, usciva in laguna coi bambini della parrocchia (fra i quali c'era Marino Cortese, destinato a diventare Presidente della Querini Stampalia e suo successore) e andava sulle isole di San Secondo o Sacca Fisola (non ancora edificata). Dove si mettevano a nuotare. Don Germano, di nascosto, si faceva accompagnare sull'altro lato dell'isola, si spogliava fino a rimanere in mutande, e senza farsi vedere dai bambini si concedeva un bagno. Dal 1953 e per più di un trentennio insegnò in Seminario. Nel 1962 nacque la sua amicizia con il pastore valdese Renzo Bertalot e iniziò il suo cammino ecumenico vero e proprio; l'anno successivo avvenne l’incontro con Maria Vingiani, fondatrice del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), col quale iniziò una collaborazione proficua dal 1964. Don Germano Pattaro parlava, sempre – in Querini, a scuola, in chiesa, al Seminario, nelle sessioni di studio ecimenico – senza tenere alcun appunto davanti a sé: “Mi go bisogno de veder i visi de la gente”, diceva. “Solo cussì i me scolta: se digo quelo che sento sul momento”. Ascolto e parola, doni ancora vivi nel ricordo di chi conobbe l'uomo dell'incontro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci