Le biciclette fatte a mano di Carlo Gemmati: un'avventura iniziata nel 1919

Giovedì 4 Luglio 2019 di Vittorio Pierobon
La storia dell'azienda Gemmati di Cintello di Teglio Veneto
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La storia dell'azienda Gemmati di Cintello di Teglio Veneto, al confine con il Friuli: fondata nel 1919 realizza artigianalmente straordinarie biciclette costruite su misura per il cliente. Una tradizione secolare che ha visto tra i protagonisti Ottavio Bottecchia e Gino Bartali. Parla il titolare Carlo: «Un'eredità raccolta da mio nonno Umberto. Il ciclismo di oggi non è più quello di un tempo». (vittorio.pierobon@libero.it) 



IL PERSONAGGIO
Avere cent'anni e mostrarli con orgoglio. «Ci ho messo una vita per farmi queste rughe, lasciatemele tutte», diceva la grande Anna Magnani. Altrettanto vale per le crepe sui muri della Gemmati Velocipedi, la fabbrica di biciclette più vecchia d'Italia, nata nel 1919. «O meglio - chiarisce Carlo Gemmati, terza generazione di costruttori di velocipedi - siamo i più vecchi per continuità familiare, sempre la stessa proprietà. La Bianchi, per esempio, è nata  prima di noi, ma ha cambiato più proprietà ed ora è in mani svedesi». Entrare in azienda significa fare un salto nel tempo. In quella stradina a Cintello di Teglio Veneto, paesino al confine con il Friuli, se non fosse per qualche macchina parcheggiata all'esterno, sembrerebbe di essere davvero agli inizi dl Novecento. La scritta sul muro, scolorita dal tempo, affascina: Velocipedi, una parola ormai desueta che associamo all'antenato della bici, quello con la ruota posteriore molto più grande. La parete della fabbrica (in realtà è una vecchia casa rurale, con i laboratori al piano terra e l'abitazione di sopra, dove vive ancora Carlo) è scrostata, ma nessuno pensi a ridipingerla, l'edifico è sotto vincolo per il suo valore storico. All'interno c'è un forte odore da bicicletta, un mix di gomma, grasso e metallo. Alle pareti manifesti d'epoca ingialliti, mobilio d'antan, quattro bici da pista del 1947 appese ad una parete e scritte sopra le porte come si usava un tempo: officina, magazzino, ufficio.

TUTTO SU MISURA
Carlo Gemmati siede alla scrivania che fu del nonno e del padre. Fisico asciutto, 62 anni carichi di energia, piglio deciso, mani da lavoratore. «È fortunato che oggi non siano sporche di grasso, perché prima sono andato in banca». È consapevole di essere una sorta di ultimo mohicano che ha il compito di preservare questo microcosmo industriale ante elettronica. «Qui si fa tutto a mano, come una volta. Ho cambiato solo qualche macchinario perché costretto. Niente catena di montaggio, facciano le bici una ad una. Su misura. Il nostro slogan dice: bici cucita a fuoco sul tuo corpo». Quella di sarto della bicicletta è la definizione migliore per descrivere il lavoro di Carlo che costruisce su ordinazione, prendendo le misure del cliente, altezza, peso, struttura fisica, massa muscolare. Certo costano un po' di più, ma non troppo: «La differenza di prezzo è minima, ma c'è una differenza sostanziale, una mia bici dura anni senza bisogno di alcuna riparazione, quelle del supermercato dopo un po' sono già dal meccanico».



MICROCOSMO ARTIGIANALE
Ora assieme al titolare lavorano tre dipendenti e la Gemmati, che commercializza con il marchio Iride, sforna 8-9mila bici all'anno, ma un tempo in quei laboratori c'erano decine di operai. «Quando mio nonno Umberto ha iniziato nel 1919 la bicicletta era il principale mezzo di locomozione e c'era molta richiesta. In pochi anni l'azienda è esplosa, è arrivato ad avere oltre 80 lavoranti. Ma all'epoca le regole erano diverse: prendevi operai quando ti servivano e poi restavano a casa. Ora se assumi un giovane, a cui devi insegnare tutto, tra stipendio e contributi ti partono subito 2mila euro e più al mese. E poi ormai la bici viene costruita in serie, i pezzi arrivano dalla Cina e in Internet le trovi a prezzi che se io praticassi dovrei lavorare in perdita. Noi ci salviamo perché offriamo alta qualità, ma il mercato è più ristretto». La Gemmati, o Iride che dir si voglia, è una nicchia, apprezzata dagli intenditori. Ha una clientela che cerca la differenza nei particolari. A cominciare dal telaio che su richiesta viene fatto su misura con tecnica sartoriale. 

IN PURO ACCIAIO
«Credo che ormai siamo gli unici produttori di bici a fare ancora, il telaio su misura - chiarisce Carlo - Ora si usano quelli fatti in serie. Io lo realizzo in purissimo acciaio Columbus. Circa un giorno e mezzo di lavoro e viene a costare sui 700 euro». E così per il resto della lavorazione. La bicicletta può essere interamente personalizzata. «Ma produciamo anche pezzi meno sofisticati a prezzi più contenuti - scherza Gemmati - altrimenti i conti non tornerebbero. Resistere non è facile, quasi tutti hanno delocalizzato. Il grande Tullio Campagnolo, andava da mio nonno per fargli verificare se i primi cambi che produceva erano fatti bene. Ora l'azienda ha trasferito gli stabilimenti in Cina». L'Iride per scelta della famiglia non è mai entrata nel mondo del ciclismo professionistico, anche se per anni ha avuto una squadra corse dilettanti. «Altri tempi e altri budget - racconta Carlo - una volta era meglio essere un buon dilettante e vincere tante corse con ricchi premi, piuttosto che un gregario tra i professionisti. Ma ora è tutto diverso girano troppi soldi e troppi furbi che cercano scorciatoie». Il riferimento è al doping. Dal suo osservatorio ne ha raccolte di storie. Non fa nomi, ma di fatto non salva nessuno: «Solo Eddy Merckx vinceva perché era un mostro, senza bisogno di aiuto. Lo hanno voluto incastrare perché vinceva troppo. Una volta c'erano le bombe che ti facevano volare per un giorno, ma poi per tre eri senza forze. Ora hanno inventato il doping a rilascio graduale: resisti al top per giorni, però paghi le conseguenze negli anni. Io ho visto campioni che sono diventati dei ruderi».

BOTTECCHIA E BARTALI
Lui preferisce stare lontano da questo ciclismo inquinato, in fondo anche la sua azienda rifiuta il doping industriale producendo ancora tutto a mano. Molti campioni negli anni sono entrati nei locali della Gemmati a fare acquisti personali. Ha cominciato Ottavio Bottecchia, il primo italiano a vincere il Tour de France, che un giorno andò a Cintello da Umberto Gemmati a comprarsi una bici «per correre un po' più forte». Anche Gino Bartali, che aveva un'azienda di bici, era tra i clienti. «Veniva di persona a fare le ordinazioni - ricorda Carlo - ormai era avanti con gli anni e faceva un po' di confusione, ma aveva una grandissima umanità». Ora ogni tanto passa Eddy Merckx, legato da un rapporto di amicizia. Per chi ama il ciclismo la vecchia fabbrica di Cintello è un po' la Mecca, almeno una volta nella vita ci devi andare. La Ediciclo, casa editrice specializzata nel settore, ha voluto presentare lì il libro di Marco Balestracci L'anno in cui vinse il fantasma di Coppi dedicato ad Arnaldo Pambianco il gregario che nel 1961 vinse il Giro d'Italia battendo fuoriclasse del calibro di Anquetil, Gaul e Van Looy. Quel giorno per celebrare il gregario-campione in fabbrica si sono ritrovati tutti i vecchi dipendenti della Gemmati, anche loro un po' gregari di un'azienda senza campioni. «È questa la nostra forza - chiosa Carlo - essere tutti uniti. Ora mi scuso, ma devo tornare a sporcarmi le mani». Un ultimo dubbio, ma a lui piace andare n bicicletta? «Si può dire che sono nato in sella, però non ho tempo per andarci: o produco bici o pedalo. E preferisco pedalare in fabbrica». 
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it) 
Ultimo aggiornamento: 5 Luglio, 11:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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