Gel e mascherina all'ingresso, i fedeli ritrovano la messa dopo tre mesi

Lunedì 25 Maggio 2020 di Alvise Sperandio
Gel e mascherina all'ingresso, i fedeli ritrovano la messa dopo tre mesi
MESTRE - Dopo tre mesi esatti di “diaspora liturgica”, come l’ha definita il patriarca Francesco Moraglia, torna la Messa in pubblico in chiesa e nel duomo di San Lorenzo martire, in piazza Ferretto, i fedeli accorrono senza farsi troppo limitare dalle misure anti-contagio. La celebrazione più importante della giornata, quella delle 11.30, ieri ha visto riempirsi tutti i 165 posti a sedere disponibili, circa un terzo della capienza massima in tempi normali (alla Messa di sabato sera c’erano state 128 persone, ieri alle 8 erano 94 e alle 10 altre 127). 
Ad accogliere le persone, già sul sagrato, ci sono quattro volontari con due banchetti e i flaconi del gel igienizzante per le mani: «Benvenuto. Non metta i guanti, entri e segua le istruzioni dei ragazzi», spiegavano “smarcando” via via un talloncino utile a tenere il conto degli ingressi. Eventuali persone in più, infatti, sarebbero dovute restare fuori. Dentro la chiesa altri sei volontari con la pettorina blu, con la scritta “accoglienza”, indicano i posti da occupare contrassegnati da un simbolo che fa rispettare la distanza minima di un metro tra i fedeli. Tutti i presenti indossano le mascherina – la più gettonata è quella di tipo chirurgico – a coprire bocca e naso. Si può occupare un posto sulle panche laterali più piccole; due posti su quelle di dimensioni medie; due o tre su quelle più grandi, alternati “a scacchiera”. Al portone centrale d’ingresso sono posizionati due zerbini di carta per pulire le scarpe, per l’uscita si usano le due porte laterali che all’inizio della Messa restano chiuse.
Poco per volta la chiesa si è riempie tutta, sotto il controllo, vigile e gentile, dei giovani del servizio d’ordine, preparatissimi e sicuri nei movimenti. L’arciprete, monsignor Gianni Bernardi, anch’egli coperto di mascherina che poi toglierà durante la celebrazione, salvo rimetterla alla distribuzione della comunione, gira per salutare tanti parrocchiani che non vedeva da tempo, mentre la gente che affluisce si guarda intorno incuriosita, molto rispettosa delle indicazioni ricevute. «Ci troviamo esattamente tre mesi dopo perché l’ultima volta che avevamo potuto celebrare assieme era la sera del 23 febbraio – esordisce don Bernardi – Ringraziamo il Signore che ci permette di ritrovarci come comunità nell’ascolto della Parola e nel dono dell’Eucarestia». La mascherina fa sudare, i tre lettori si alternano al microfono rialzandola appena concluso il proprio brano, suona l’organista, l’assemblea risponde e canta. È la festa dell’Ascensione. «Ascendere al cielo significa festeggiare Gesù che torna alla gloria di Dio Padre. È il compimento della vita terrena di Cristo e della sua missione e ci dice che Dio è vicino a noi in tutti i giorni della storia», scandisce nell’omelia don Bernardi, alludendo anche a questo lungo periodo di sospensione forzata delle celebrazioni pubbliche.
I banchi sono senza fogli per le preghiere e senza libretti per i canti; le acquesantiere rimangono vuote; le offerte non vengono raccolte, ma possono essere lasciate all’uscita nelle apposite cassettine; non ci si scambia il segno della pace. Poco dopo il rintocco della campana di mezzogiorno, per distribuire la comunione don Bernardi si dispone sotto l’altare e il vicario don Lorenzo De Lazzari raggiunge la metà della navata. Fila per fila dei banchi, i fedeli si mettono in coda mantenendo la distanza di sicurezza contrassegnata a terra dalle linee di cortesia arancioni e controllata dai volontari. Il sacerdote, che si è igienizzato le mani, indossa la mascherina e i guanti blu, fa cadere l’ostia consacrata sulle mani del fedele con l’accortezza di non toccarle. Questi rimette la mascherina e ritorna al posto attraverso i corridoi laterali. Tutto scorre tranquillo. Dopo la benedizione finale, l’uscita avviene altrettanto in ordine, con i volontari che fanno defluire i presenti a partire dai banchi più vicini alle porte e via a salire verso il presbiterio, chiedendo a chi si ferma di procedere per non “rompere” le distanze. Una volta liberata la chiesa, partono le pulizie e le sanificazioni di tutti gli ambienti e le superfici, sacrestia compresa. La prova, attesa e un po’ temuta, è superata a pieni voti.
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