Il bragozzo di Chioggia e il corsaro Garibaldi con la cittadinanza onoraria

Martedì 8 Novembre 2022 di Pieralvise Zorzi
Garibaldi cittadino onorario di Chioggia

CHIOGGIA (VENEZIA) - Nel 1867, a Italia fatta, Giuseppe Garibaldi entra trionfalmente a Chioggia. Dal balcone del Palazzo Comunale dichiara «In mezzo a voi parmi d'essere in mezzo alla mia famiglia». Gli vengono intitolate la porta di ingresso della città e il teatro cittadino, si pongono lapidi dappertutto, gli si conferisce la cittadinanza di Chioggia. Tutto molto bello, ma che c'entra Garibaldi con Chioggia? Ebbene, più che con la città vera e propria c'entra con la Chioggia galleggiante, con la presenza dei pescatori chioggiotti sulle coste romagnole, protagonisti loro malgrado di una sfortunata avventura quasi dimenticata dalla Storia.
Facciamo un salto indietro: 1848-1849, anni di fuoco. Venezia sola contro l'Austria.

Anche Chioggia si è ribellata, già dal 2 marzo 1848: il comandante austriaco barone Gorizzutti, messo alle strette, se ne era andato con le truppe. Chioggia tiene duro, non si lascia corrompere né dalle minacce del generale Gyulai né dalle promesse del conte Coronini Cromberg, non si fa spaventare nè dalla carestia né dall'epidemia.

Il drappello

Intanto Garibaldi, che più che in ritirata è in fuga rincorso da austriaci, francesi, napoletani e spagnoli, la notte del 1° agosto 1849 appare non a Chioggia a Cesenatico, dove nel porto canale c'è la Chioggia galleggiante, pescatori chioggiotti paròni di bragozzi: c'è Luigi Penzo detto Squèla, Federico Penso Bricciolo, Tommaso Battagin Peloso, Andrea Lanza Schiavo, Francesco Pagan Brulla, Sante Penzo Roncola, Felice Voltolina Valzera, Giuseppe Ballarin Siolo, Vincenzo Bellemo Biasetto ed altri. Garibaldi, che ha con sé solo 250 uomini e la moglie Anita, incinta di cinque mesi e febbricitante, ha avuto l'idea di raggiungere Venezia via acqua e li tira tutti giù dal letto, requisendo le barche e distribuendo piattonate di sciabola ai pescatori che non avrebbero nessuna voglia di tentare l'impresa. Gli si fa notare che c'è burrasca, che non si può uscire dal porto ma lui salta su una tartana (un'imbarcazione a vela dotata di un unico albero con vela latina ndr), esce, si butta in mare con un'ancora e assicura una cima guida per tonneggiare le barche, tirarle fuori dal porto. Così la mattina dopo eccolo salpare nel Furioso del paròn Luigi Penzo alla testa di una tartana e dodici bragozzi carichi dei suoi animosi compagni. C'è anche il prete soldato Ugo Bassi, veterano della Prima Guerra di Indipendenza, c'è Angelo Brunetti, più noto come Ciceruacchio, il popolano romano famoso per la sua attività rivoluzionaria a Roma, c'è Francesco Nullo, che sarà uno dei protagonisti dell'impresa dei Mille, c'è il fedelissimo Giovanni Livraghi.

La missione

Garibaldi, che si fida fin troppo della sua esperienza di corsaro, naviga sottocosta ma non ha fatto i conti con il blocco navale di Venezia e Chioggia. Una piccola ma ben armata flotta austriaca al comando del tenente di vascello Giovanni Scopinich li avvista, li insegue, li cannoneggia, li stringe da vicino. Garibaldi si espone, incita i marinai gridando Non tutte le palle colpiscono gli uomini ma non c'è nulla da fare. Gli austriaci catturano il grosso alla Sacca degli Scardovari, tre bragozzi vengono abbandonati, 156 volontari vengono arrestati e spediti a Pola. Due barche si arenano presso Magnavacca, che poi cambierà nome in Porto Garibaldi: a bordo c'è lui, la moglie, i fedelissimi. Si disperdono per le campagne ma la fuga si trasformerà in tragedia. Bassi e Livraghi saranno arrestati a Comacchio e fucilati a Bologna, Ciceruacchio con i due figli di cui uno tredicenne, catturati a Goro, verranno fucilati sommariamente con altri a Porto Tolle, Anita morirà nella pineta di Ravenna. Solo Garibaldi riuscirà a cavarsela: ci metterà un mese, nascosto dalla trafila dei repubblicani romagnoli, a raggiungere la costa ligure. A Venezia, dove la rivolta è ormai prossima alla fine, arriveranno alla spicciolata solo pochi garibaldini che non cambieranno i destini della Repubblica di San Marco. Il 27 agosto Manin firmerà la resa.

La sconfitta

Sul fallimento di Garibaldi, come scrive la nostra fonte Pier Giorgio Tiozzo, scenderà un velo di silenzio, sollevato solo dopo l'unificazione d'Italia e soprattutto dopo la morte di Garibaldi. Il quale comunque, nelle sue memorie, si giustifica dando parte della colpa ai pescatori chioggiotti, secondo lui passivi, poco motivati, per nulla combattivi. Sarà anche stato vero ma come si può dimenticare che non si può chiedere a dei pescatori disarmati di opporsi entusiasticamente a vascelli da guerra bene armati, mettendo a rischio non solo la vita ma la barca, ancor più preziosa della vita stessa. In più Garibaldi, troppo sicuro di sé, non aveva seguito il consiglio dei paròni: Co' nuantri stemo tacai in te la nostra costa, andemo in boca al lovo. Xe molto megio che nualtri se cassemo pi' na de mezo mare... insomma, andiamo in alto mare, poi verso Caorle e infine agli Alberoni del Lido. Nel 1867 Garibaldi, che aveva capito di aver sbagliato, nella sua visita a Chioggia dichiarerà pubblicamente: «È mio dovere di proclamare dinanzi a tutti voi, che questi bravi chioggiotti esposero le loro sostanze e le loro vite per me e per la causa italiana, e tutto ciò che si disse contro di loro è mera calunnia. Questa è la verità che pubblicamente attesto a tutti voi».

 

Ultimo aggiornamento: 11:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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