L'uomo che disegna i francobolli. La storia di Valerio Pradal, figlio del mugnaio con una grande passione Foto

Lunedì 31 Maggio 2021 di Edoardo Pittalis
L'uomo che disegna i francobolli. La storia di Valerio Pradal

L'uomo che disegna francobolli è partito dal Piave per scalare il Monte Titano. Era il figlio del mugnaio di Ceggia, adesso si prepara a creare il francobollo per lo scudetto dell'Inter e quello per gli Europei di calcio, sperando di colorarlo di tricolore. Dice che non ha sogni nel cassetto, ma ancora molti cassetti da aprire. Per il suo lavoro ha vinto premi in tutto il mondo; non si dedica solo alla filatelia, organizza eventi internazionali e campagne promozionali, le ultime in tempo di pandemia. Per pagarsi gli studi universitari a Venezia, Valerio Pradal, 64 anni, di San Donà di Piave, ha fatto anche il generico nei film di Fellini e Montaldo. È sposato con Fabiana, il figlio Filippo è laureando alla Bocconi.


Come si arriva dalla pianura in cima al Titano?

«Sono nato a Oderzo (Treviso), mio padre Giuseppe era un mugnaio, si è trasferito a Ceggia (Venezia) nel 1960 dove ha aperto il mulino e lì sono cresciuto.

Aveva anche l'essiccatoio, lavorava ininterrottamente per 24 ore e io passavo intere giornate a vedere la macchina in funzione. Da ragazzo lavoravo in casa, il mulino era a conduzione familiare e avevamo anche un allevamento di pulcini. Ho sempre vissuto in mezzo alla gente e questo mi ha regalato una bella infanzia. Mio padre diceva che devi mettere il sorriso davanti a una persona, però alla sera sei solo, senza maschera, con la tua coscienza. Mia madre era molto cattolica, mio padre non credente e questo mi ha insegnato ad avere sempre rispetto per le idee degli altri. Da questa unione è nato un fratello consacrato sacerdote da Papa Giovanni Paolo II. Ho studiato allo Scientifico di San Donà e tenevo anche la contabilità dell'azienda».


Fin qui siamo ancora all'inizio della salita.

«Da giovane ho conosciuto padre Angelo Arpa, un gesuita, che era stato consulente religioso di Fellini, Pasolini, Bunuel per i loro film e anche per Il nome della Rosa, alla fine c'è anche il suo nome. Mi ha fatto riflettere che l'importante nella vita è scegliere il percorso che vuoi fare. Così quando mio padre mi ha dato i soldi per iscrivermi in Economia a Ca' Foscari, io sono tornato a casa iscritto in Architettura e mentre mi laureavo ho lavorato come generico nel film di Fellini La nave va e nel Marco Polo di Montaldo, sempre grazie a padre Arpa. Scrivevo anche poesie e ho vinto un premio internazionale a 24 anni. Per essere indipendente creavo modelli di bigiotteria. Mi sentivo portato per la comunicazione, organizzavo spettacoli, mi piacevano gli eventi del mondo dello sport. Ho incominciato a seguire aziende del settore, così quando si è presentata la nuova squadra di ciclismo del campione del mondo Moreno Argentin ho disegnato il logo, le maglie, le ammiraglie. Questo mi è valso la chiamata dalla Repubblica di San Marino che stava organizzando i campionati mondiali juniores di ciclismo conclusi con tre italiani sul podio. Nel 1999, mi sono ritrovato nella direzione generale dei mondiali di ciclismo su strada in Veneto. Avevo inventato il pool di aziende che sponsorizzava non solo l'evento, ma anche la preparazione all'evento. Proprio nella settimana dei mondiali è nato mio figlio. Nel 2000 Everardo Della Noce, il noto telecronista, mi ha chiamato per dare visibilità alla Federazione Italia Baseball e ho puntato sullo sport come stile di vita».


Ma ancora non si parlava di francobolli?

«Con San Marino c'era già stato un contatto, nel '97 mi avevano chiesto di disegnare il bozzetto per un francobollo. Da allora ne ho disegnati 40, il più importante per me è quello che nel 2003 ha vinto il premio mondiale: è legato alla riapertura della Fenice di Venezia. Poi quello per il mondiale di calcio del 2006 vinto dall'Italia, 180 mila copie già prenotate su Internet prima ancora dell'emissione. Non è il classico francobollo celebrativo di una vittoria calcistica, c'è raffigurato il volto di una signora non giovanissima. Mi ha chiamato Bolaffi per dirmi che era il francobollo più particolare che aveva visto. Restando a Venezia, ho realizzato un francobollo con una foto di Fulvio Roiter per il Carnevale e uno in collaborazione col maestro vetraio Lucio Bubacco per la Regata Storica. Tanti per gli scudetti della Juventus, del Milan, per il centenario dell'Inter. Ho fatto anche il primo francobollo in braille: adesso tutti i miei francobolli diventano quadri messi all'asta per acquistare una macchina per i non vedenti».


Ma c'è ancora un futuro per il francobollo nell'epoca della mail?

«È la cedola di una tassa che si deve pagare. Se è una tassa forse ci sta che possa scomparire, ma se è un elemento d'arte, di comunicazione, allora è giusto che ci sia sempre. San Marino mi ha appena chiesto qual è il soggetto che deve stare su un francobollo? Ho risposto che è un prodotto di comunicazione e il primo problema nasce nell'elaborare l'idea che deve essere contenuta in un pezzetto piccolo di carta. Devi sintetizzare al massimo, equilibrare i colori, un'immagine bella in un francobollo può diventare illeggibile. Sono convinto che il francobollo abbia un futuro: deve diventare oggetto di collezione, oggetto di arte, di piacere, non più una tassa soltanto. Il francobollo è il biglietto da visita di una Nazione».


E la campagna shock per i troppi morti sulle strade nel Trevigiano?

«Nel 2000 mi aveva chiamato l'allora presidente della Provincia di Treviso Luca Zaia per realizzare un libro bianco sugli incidenti stradali. Per mortalità le strade trevigiane erano al quinto posto in Italia, soprattutto troppi giovani coinvolti. Bisognava dare un segnale forte e in grado di insegnare qualcosa. Ho usato immagini choccanti che sono andate a segno, da quella campagna è partita anche la campagna di Zaia per le rotonde. Nel 2009 e nel 2011 sono stato curatore della Biennale dell'Arte di Venezia per la Repubblica di San Marino. La prima volta tutte le opere furono messe a terra quasi a dimostrare che l'arte italiana non era valorizzata, feci stampare le opere di dieci artisti su tela e li feci lavorare insieme sulle loro riproduzioni per creare una nuova opera unica. Le accompagnai con una grande scritta: Non calpestate i vostri sogni. Eravamo nell'isola di San Servolo».


Infine, il messaggio di speranza nei lunghi mesi della pandemia

«Nel marzo del 2020 sono stato coinvolto nella campagna nazionale contro la pandemia Andrà tutto bene. Non ero del tutto d'accordo, sapevo che non si poteva dire a uno il cui padre stava morendo di Covid che andava tutto bene. Ho preso persone qualsiasi fotografate in bianco e nero e la scritta Io conto su di te. Era un modo di stimolare la responsabilità della gente. Pochi mesi fa c'era da fare una campagna per le mascherine e bisognava dare un messaggio di tranquillità: ho preso mio figlio e otto giovani con la mascherina ufficiale e la scritta Conta su di me. Il centro della campagna non era più la mascherina, ma far vedere la fiducia negli occhi della gente. Per lo slogan volevo puntare sulla parola libertà, sono stati gli stessi giovani a farmi cambiare: La responsabilità è uguale libertà. Hanno detto che la responsabilità veniva prima perché la libertà dobbiamo conquistarla».


Come cambia la comunicazione nel tempo dei social?

«Cambia tutto. Da un lato il social diventa fondamentale. Certo, resta la domanda: cosa si comunica? Quello che cambierà sarà il rapporto umano, se non rimettiamo la persona al centro del palcoscenico della vita avremo ancora difficoltà. La tecnologia ci sta portando piano piano ad alterare il pensiero, i dialoghi sono sempre meno frequenti. Però è un fatto che sta cambiando tutto, forse dobbiamo cambiare noi il modo di pensare».

Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 08:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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