Il racconto di un padre veneziano: «Mio figlio bloccato in Polonia da 5 anni»

Sabato 5 Marzo 2022 di Tomaso Borzomì
CINEMA Una scena del film Kramer contro Kramer che parla di figli contesi
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VENEZIA - Un altro anno di “pazienza”, se così si può chiamare l’attesa che un padre ha per vedere un figlio attraverso la legge. F. N. è genitore di un bambino nato nel 2014 che però dal 2018 è riuscito a vedere «tre quattro volte dal vivo, quando avevo le udienze in Polonia». Perché la madre - racconta - quando il piccolo aveva tre anni, anziché portarlo all’asilo, una mattina è salita su un autobus e se ne è tornata nel suo Paese d’origine, senza dire nulla. Una vicenda che Il Gazzettino aveva raccontato già nel 2018.

Ieri l’udienza del processo penale per sottrazione internazionale di minore è stata rinviata di un anno: «È stata posticipata al 20 gennaio 2023. Due anni fa si sono chiuse le indagini, oggi però c’è stato un rinvio, in tutto questo mio figlio compie otto anni, quanto tempo ancora dovrò attendere?». Quel bus del 20 aprile 2018 ha segnato un prima e un dopo nella vita dell’uomo, che da allora lotta con tutte le sue forze contro muri di gomma che respingono le speranze senza fiaccare la tenacia. Straziante il suo racconto quando spiega l’ultima volta che ha visto il suo piccolo: «Ero a un’udienza in Polonia, mio figlio allungava le braccia verso di me mentre lo portavano via». Da lì qualche telefonata, poi la linea si è interrotta. E la causa è proprio il fatto che la mamma ha scoperto di avere un processo penale in Italia: «Sa che rischia la reclusione, quindi non riesco più a sentirlo. Non lo vedo più, non so dove abita, se va a scuola, non posso sapere niente. Ho diritti, ma nessuno li fa rispettare». Ma se i tempi della giustizia italiani sono noti, in Polonia le cose sono andate in maniera diversa: «Ho avuto quattro udienze lì, ma è stato negato il rimpatrio, non so come, ma mi ha tolto pure la patria potestà. E poi si è tenuta anche un’udienza nonostante fossi impossibilitato a presenziare a causa del covid, non c’è niente da fare, lotto, ma contro chi? Il tribunale italiano non mi aiuta e se facessi gesti eclatanti rischierei ancora di più, perché potrei apparire come un “matto”, quindi rischierei di allontanare ulteriormente le possibilità di vedere mio figlio. Cosa devo aspettare? Altri sette, otto anni?». 


L’unica cosa positiva che hanno portato le udienze polacche sono state le possibilità di vedere il piccolo: «Lo vedevo per un’ora rinchiuso in una camera di appartamento in casa della madre. Ma con la presenza di un’ambasciatrice, perché se vado lì da solo, suono il campanello e nessuno apre non c’è nulla da fare. Anzi, quando l’ho fatto mi son trovato a dover spiegare il tutto alla polizia». Tante le carte usate dall’uomo, compreso appellarsi al presidente della Regione Luca Zaia: «Ho provato a chiamare chiunque, trasmissioni televisive, la segreteria di Zaia ha mandato alcune lettere a Salvini, Conte (allora presidente del Consiglio) e Di Maio richiedendo l’intervento dello Stato e del Governo. Lettere a cui nessuno ha risposto nel corso di questi anni. Però non è possibile, deve tornare, non si possono avere iter così lunghi». 
Da ultimo il paradosso delle “visite”: «Mia madre riesce ad avere un contatto sporadico, ha fatto istanza per le visite, il giudice ha acconsentito a far sì che possa chiamare una domenica ogni 15 giorni, alle 18. Deve rispettare l’orario e allora riesce a parlarci 10-15 minuti. Potrebbe anche vederlo, ma dovrebbe comunicarlo un mese prima, e poi giocarci all’interno di un istituto privato con sorveglianza per un’ora assieme agli assistenti sociali». Per lui invece non c’è niente da fare: «Sto cercando di fare le cose come si devono, non pensavo di incappare in una situazione del genere». 
 

Ultimo aggiornamento: 17:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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