VENEZIA - Un altro anno di “pazienza”, se così si può chiamare l’attesa che un padre ha per vedere un figlio attraverso la legge. F. N. è genitore di un bambino nato nel 2014 che però dal 2018 è riuscito a vedere «tre quattro volte dal vivo, quando avevo le udienze in Polonia». Perché la madre - racconta - quando il piccolo aveva tre anni, anziché portarlo all’asilo, una mattina è salita su un autobus e se ne è tornata nel suo Paese d’origine, senza dire nulla. Una vicenda che Il Gazzettino aveva raccontato già nel 2018.
L’unica cosa positiva che hanno portato le udienze polacche sono state le possibilità di vedere il piccolo: «Lo vedevo per un’ora rinchiuso in una camera di appartamento in casa della madre. Ma con la presenza di un’ambasciatrice, perché se vado lì da solo, suono il campanello e nessuno apre non c’è nulla da fare. Anzi, quando l’ho fatto mi son trovato a dover spiegare il tutto alla polizia». Tante le carte usate dall’uomo, compreso appellarsi al presidente della Regione Luca Zaia: «Ho provato a chiamare chiunque, trasmissioni televisive, la segreteria di Zaia ha mandato alcune lettere a Salvini, Conte (allora presidente del Consiglio) e Di Maio richiedendo l’intervento dello Stato e del Governo. Lettere a cui nessuno ha risposto nel corso di questi anni. Però non è possibile, deve tornare, non si possono avere iter così lunghi».
Da ultimo il paradosso delle “visite”: «Mia madre riesce ad avere un contatto sporadico, ha fatto istanza per le visite, il giudice ha acconsentito a far sì che possa chiamare una domenica ogni 15 giorni, alle 18. Deve rispettare l’orario e allora riesce a parlarci 10-15 minuti. Potrebbe anche vederlo, ma dovrebbe comunicarlo un mese prima, e poi giocarci all’interno di un istituto privato con sorveglianza per un’ora assieme agli assistenti sociali». Per lui invece non c’è niente da fare: «Sto cercando di fare le cose come si devono, non pensavo di incappare in una situazione del genere».