Donna massacrata dal compagno, il giallo della telefonata: «Carabinieri chiamati dopo il primo urlo»

«Probabilmente la situazione sembrava tornata tranquilla. Me ne sono andata a letto»

Domenica 25 Settembre 2022 di Nicola Munaro - Davide Tamiello
Lilia Patranjel e il compagno omicida

SPINEA (Venezia)  - C'è qualcosa che non torna nella notte della tragedia. Ci sarebbe una telefonata, che però ufficialmente non risulta agli atti in procura, che avrebbe segnalato delle urla e dei rumori sospetti in quell'appartamento di via Mantegna a Spinea (Venezia). Per gli inquirenti, infatti, c'è solo una chiamata da quella palazzina: quella con cui, alle 5 del mattino, il 35enne romeno Alexandru Ianosi Andreeva Dimitrova si autoaccusava dell'omicidio della compagna, la 40enne Lilia Patranjel.



LE URLA
Una vicina, però, sostiene di aver telefonata per dare l'allarme a mezzanotte e quaranta. «Abbiamo chiamato i carabinieri al primo urlo - racconta R. B. - Sono venuti, hanno fatto le verifiche che dovevano fare ma nel frattempo i rumori erano terminati. Io a quel punto sono tornata a letto, non sono la vicina che origlia. La mattina ci siamo svegliati con i carabinieri che ci hanno fatto delle domande e poi con estrema delicatezza ci hanno spiegato cosa era avvenuto. Ci hanno ringraziato per aver chiamato e ci hanno detto che eravamo stati gli unici». Come mai quella telefonata non risulta? Carabinieri e procura non confermano e non smentiscono un'ulteriore telefonata. Gli inquirenti però ribadiscono che l'unica chiamata diretta, rispetto al caso, è quella dell'uomo. È possibile che fosse stata considerata come una segnalazione differente? Non era la prima volta, infatti, che l'uomo si lasciava andare a urla e musica alta di notte, tanto da indispettire i vicini. Il sospetto è che una eventuale chiamata precedente possa essere stata interpretata come una segnalazione per schiamazzi: quindi, la pattuglia, una volta arrivata, non sentendo rumori molesti, potrebbe aver deciso di andarsene reputando la zona ormai tranquilla.

LE CARTE
L'unico aspetto che risulta negli atti in mano al sostituto procuratore di Venezia, Alessia Tavarnesi - che accusa Alexandru Ianosi Andreeva Dimitrova di omicidio volontario aggravato dal legame della convivenza - sono le testimonianze raccolte dai carabinieri dai vicini di casa, sentiti a sommarie informazioni quando ormai il trentacinquenne aveva telefonato alle forze dell'ordine dicendo di aver ucciso la sua compagna. L'incartamento della procura racconta invece - a dirlo sono gli inquilini del palazzo di Spinea - di una sorta di confronto tra gli stessi residenti che avevano sentito dei forti rumori attorno a mezzanotte e mezza di venerdì. Nessuno però avrebbe avvertito le forze dell'ordine. Ed è nella manciata di minuti che vanno dalle 00.20 alle 00.40 del 23 settembre che un primo esame del medico legale fissa l'ora della morte di Lilia Patranjel. Ieri mattina, sentito in carcere per l'udienza di convalida dell'arresto, il trentacinquenne saldatore in una ditta di Mirano ha scelto di non parlare: lo farà più avanti e quindi di non dare una spiegazione a quanto accaduto nel salotto della loro abitazione. L'autopsia in programma domani servirà a dare la quantità dei colpi inferti con tanta violenza sul corpo della donna, al punto di arrivare quasi a staccarle un braccio. Ma è su quella chiamata che una vicina dice di aver fatto e che non risulta dalle carte - né tantomeno viene confermata o smentita dagli inquirenti - che si allunga l'ombra di quanto accaduto. Possibile che all'arrivo dei carabinieri il trentacinquenne avesse finito la sua mattanza e, come detto da lui prima di entrare in carcere, fosse svenuto.

 

Ultimo aggiornamento: 15:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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