Il regalo di mamma e papà ad Anna: una fattoria sociale alle porte di Mestre, un mondo ecosostenibile per chi è in difficoltà

Il vaccino per la Trivalente e poi l'encefalite: Anna è un caso su 50mila. I genitori le hanno costruito una casa-azienda

Lunedì 11 Aprile 2022 di Edoardo Pittalis
Il regalo di mamma e papà ad Anna: una fattoria sociale alle porte di Mestre

Piero Pellegrini e la moglie Carla hanno aperto alle porte di Mestre una fattoria per la figlia (e non solo): ora accoglie altre 14 persone con problemi psichici, casi sociali e minori assistiti. «È un'isola eco-sostenibile, un'azienda agrituristica». E inizia pure a guadagnare.

Anna non sa che alle porte di Mestre c'è una grande casa col suo nome che ospita e offre lavoro a disabili e a persone in difficoltà.

Anna non sa che il bisnonno paterno è stato il primo venditore di macchine per scrivere a Venezia e ha fondato un'azienda che c'è ancora. In una vecchia foto Giuseppe Pellegrini è tra l'ingegner Camillo Olivetti, una lunga barba bianca, e il giovane ingegner Adriano impettito in un abito che sembra uscito dalla bottega del sarto. Anna non sa che il bisnonno materno era scappato dalle terre irredente allo scoppio della Grande Guerra e a Venezia aveva aperto un'agenzia fotografica diventata famosa, la Giacomelli. Ha lasciato uno degli archivi più importanti nel mondo: 180 mila lastre e negativi. Anna ha 47 anni, non parla, ma ha imparato a leggere e scrivere e si fa capire premendo forte sui tasti di un computer.


Nella sua Casa è una donna felice, si muove in carrozzina tra le serre e gli orti. Aveva sei mesi quando è stata colpita da un'encefalite dovuta a una vaccinazione sfortunata della Trivalente. «Uno su cinquantamila può essere colpito e quest'uno si chiama Anna. Ha bisogno di tutto, lei non fa niente. Anna se non la porti fuori muore e Venezia con i suoi ponti non è una città per disabili», dice il padre Piero Pellegrini, 75 anni, veneziano. La Casa di Anna è nata su un piano senza barriere architettoniche nella contrada di Brendole, gli alberi segnano il confine tra il Comune di Venezia e quello di Martellago. Terra piena di storia: prima dell'anno Mille l'imperatore Ottone III l'aveva concessa al conte Rambaldo di Collalto il quale, per non trovarsi in mezzo tra Venezia e il Papato, regalò la contea al convento di San Zaccaria che accoglieva soltanto le figlie della nobiltà veneziana. Gli otto ettari di Brendole sono stati acquistati sei anni fa e trasformati in un'azienda moderna. Piero Pellegrini gestisce la sua impresa col figlio Giuseppe; l'altro figlio Giovanni fa il regista cinematografico.


La Pellegrini spa è in via Torino a Mestre: 150 dipendenti, 25 milioni di euro di fatturato. Si occupa di tecnologia e di informazione; noleggia macchine per la stampa: «Abbiamo in giro 30 mila macchine installate».


Cosa è rimasto della vecchia azienda veneziana?
«Sono rimasto io, il collegamento tra l'inizio e la continuità. Con mio fratello Paolo, scomparso un paio di anni fa, abbiamo avuto la fortuna di sviluppare l'attività. Sono l'unico che ha conosciuto il fondatore Giuseppe, tutto è nato cent'anni fa in campo San Bortolomio dove c'è ancora la sede legale. Quello è il cuore della città, scendevi e trovavi tutto e tutti. Ricordo che sono andato giovanissimo nella redazione storica del Gazzettino a consegnare una macchina per scrivere al direttore di allora. Nonno Giuseppe era insegnante di dattilografia, un mestiere nuovo nella Venezia del primo Novecento, poi ha capito che le macchine per scriverle era meglio venderle. Abbiamo una collezione di macchine d'epoca. Le prime erano americane, sono stati gli americani a costruirle convertendo le fabbriche di armi ferme dopo la fine della guerra di Secessione e la conquista del West».


Come è nata l'impresa Pellegrini?
«In Italia c'era la Olivetti e nonno è stato il primo rappresentante. Ha attraversato due guerre, durante la seconda ha capito che era il momento di noleggiare le macchine, tra i clienti aveva anche la Wehrmacht. L'ufficiale comandante prima di lasciare la città gli consegnò un assegno di 14.050 lire a saldo dei noleggi, solo che nella notte cambiarono le cose, subentrarono gli americani e quell'assegno mai riscosso è nel mio studio, in cornice, con tanto di timbri del Reich e delle forze armate Alleate. Nessuno dei due ha pagato».


Quando vi siete trasferiti in terraferma?
«Ci siamo spostati dopo l'Aqua Granda del 1966, come molte imprese e molti veneziani. La nostra azienda ha seguito i tempi, dalle macchine per scrivere alle calcolatrici, dal ciclostile al fax e alle fotocopiatrici, fino alle macchine per la stampa. Ma io continuo a restare veneziano, sono cresciuto a Cannaregio, sono tra i pochissimi che possiedono una gondola personale, l'ha fatta Crea. Per un veneziano la gondola è come avere l'orologio al polso, un complemento della nostra vita. Quando è nata Anna sono andato con la gondola in ospedale e l'ho portata a casa, quando ti sposi ci vai in gondola. Quando te ne vai, l'ultimo viaggio è con la gondola. Ho fatto la discesa della Senna a remi e anche la discesa del Danubio. È una sorella di legno che non parla, sta zitta ma ti accompagna».


E la Casa di Anna?
«Anna se non la porti fuori muore. Con mia moglie Carla abbiamo deciso di trasferirci in campagna, questa era boscaglia e il fabbricato era imploso, il tetto era caduto. Ci siamo innamorati del luogo ed è nata la Casa di Anna che poi è diventata una fattoria sociale che si prefigge di dare opportunità di lavoro a chi ha difficoltà a trovarlo. È stata una scelta fortunata, per Anna è stato come trovare una dimensione di vita giusta. Ci sono voluti un paio di anni prima di avere tutte le autorizzazioni in regola. È un'isola ecosostenibile, si fa tutto nel rispetto di madre natura, l'orticoltura è biologica e certificata. Noi cerchiamo di essere autosufficienti: ci produciamo energia elettrica, trasformiamo gli scarti alimentari in concime, ricicliamo l'acqua che preleviamo dal sottosuolo. Abbiamo un orto di erbe aromatiche con 140 specie su aiuole rialzate per dare la possibilità di lavorare anche a chi è in carrozzella. La nostra è un'azienda agrituristica, otto ettari destinati a coltivazione e accoglienza. Non abbiamo dietro fondazioni, banche o altro. Viviamo in autonomia anche economicamente e questa è la sfida. Un grosso contributo, circa la metà, viene dalla ristorazione, usiamo prodotti nostri; curo personalmente la lista dei vini, tutti biologici, sono sommelier diplomato. Facciamo in un anno 4000 coperti».


Quante persone ospitate e a quante date lavoro?
«Abbiamo 18 dipendenti, cinque a tempo pieno. Ospitiamo 14 persone disabili, prevalentemente con problemi mentali non accentuati; 8 persone con problemi di giustizia, servizi in prova, arresti domiciliari, detenuti che vengono da Santa Maria Maggiore; 8 minori assistiti direttamente da un accompagnatore. Gli altri sono affidati a noi da Asl e ministero di Grazia e Giustizia. Mantenere tutto questo ammonta a mezzo milione di euro, ma l'anno scorso ci è costato soltanto 10 mila euro: non dico che l'ho vinta, ma stiamo facendo pareggio. I ricavi vengono dalla vendita nei nostri punti e dalla vendita online: ortaggi e prodotti alimentari, dalla pasta biologica ai formaggi e alle marmellate. La consegna a domicilio viene fatta con biciclette elettriche alimentate da pannelli fotovoltaici. Alla guida ci sono le persone che ci sono state affidate, ogni mezzo ha una app che ci trasmette con precisione dove si trova il mezzo e cosa fa il conducente».


Quanto è costata e costa la Casa di Anna?
«L'avvio è stato difficile, per partire ho messo a disposizione quasi 5 milioni di euro, arrivare oggi a dire che un anno mi è costato diecimila euro ti fa sentire davvero contento. Ogni giorno ci sono persone particolari che hanno una loro dignità, come Elisa: una mattina la trovo sul vialetto sorridente, aveva raccolto i porri e le avevano detto che era stata brava. In tanti anni di lavoro in una fabbrica nessuno le aveva mai detto che era stata brava. Mi ha abbracciato. Mia figlia Anna è contenta di vivere qui, mia moglie pure. La mattina presto ci sono le lepri, il picchio, le gazze ladre, gli aironi. Faccio anche l'apicoltore, produco il miele, chiamo le api le mie ragazze. Qui Anna deve sopravvivere a mia moglie Carla e a me».

Ultimo aggiornamento: 16:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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