Fabrizio Plessi e la mostra agli Emirati Arabi tra sceicchi e ambasciatori: «Sono ripartito dall'acqua»

Giovedì 14 Ottobre 2021 di Paolo Navarro Dina
Fabrizio Plessi

VENEZIA - La felicità si legge negli occhi di Fabrizio Plessi. L'artista è appena tornato dagli Emirati Arabi. All'Istituto italiano di cultura di Abu Dhabi, guidato da Ida Zilio Grandi, davanti a industriali, notabili e sceicchi e all'ambasciatore italiano Nicola Lener, Plessi ha presentato la sua esposizione The Digital Wall dove ha unito, ancora una volta, la tecnologia e i tradizionali giochi d'acqua. 


Fabrizio Plessi, un segno inconfondibile
«Erano due anni che aspettavo questo momento.

Tutto era rimasto fermo a causa della pandemia. Ho pensato all'acqua, perchè - come ho sempre detto - è un elemento importante per il nostro pianeta. Digital Wall intende rappresentarla. Come? È una installazione digitale nella quale si vede cadere una pietra nell'acqua. Un tonfo che modifica l'acqua, nella sua superficie e in profondità. Nel gesto e nella sua forma, le pietre che cadono rappresentano metaforicamente le idee, tante nuove pietre che cadono, tante nuove idee che si sviluppano. E che modificano lo stato delle cose».


Non c'è dubbio che lei stia andando controcorrente, per rimanere nella metafora...
«A Venezia c'è un detto che non amo assolutamente. I gondolieri dicono Nosta a far onde. Io invece amo le onde, fisiche e mentali. Amo modificare lo stato delle cose, amo creare nuovi turbinii, dialoghi, sprigionare nuove energie. Le pietre che cadono nell'acqua, che ne modificano la superficie, creano delle onde, modificano la forma, addirittura alle volte ne cambiano il colore. Ed è lì che si modificano le cose».


La pietra cade, dopo il tonfo nell'acqua, apparentemente tutto pare tornare come prima.
«Invece no, non sarà mai come prima. Tutto è liquido. Lo diceva anche Goethe: L'anima è liquida. E noi non possiamo che accogliere tutte queste nuove situazioni».


Non le pare molto simbolico parlare di acqua ad Abu Dhabi, a due passi dal deserto arabico
«Mi occupo da 50 anni di rappresentare l'elemento acqua nelle mie opere. È sempre stato un aspetto trainante del mio lavoro artistico. Ed è stato stimolante pensare che mi trovassi in un Paese fatto di sabbia. Lì ho portato la creatività italiana in un momento in cui tutti parlano di digitale. Per rimanere nella metafora, rimango sulla cresta dell'onda...».


E quali sensazioni ne ha tratto?
«Di trovarmi di fronte ad un pubblico estremamente colto. C'è gente che ha studiato all'estero, in Gran Bretagna, negli Usa, in Francia. Me ne sono stupito. Difficile trovare lo stesso livello qui da noi».


Quindi la gente ha apprezzato il messaggio
«Ho sempre avuto e cercato un approccio umano sulle tecnologie che sono alla base del nostro sviluppo. Che deve essere armonico, senza farci dominare. Dobbiamo umanizzare la tecnologia, altrimenti può essere rischioso».


Ha qualche paura?
«Quando assistiamo al decollo delle tecnologie, ma ad esse non corrisponde un'etica del lavoro. Oppure quando non sappiamo governarle.


Facendo una battuta, lei ha detto addirittura che il digitale è archeologia
«Oggi gli artisti per essere alla moda, si vogliono occupare di tecnologia. In ogni mostra, saltano sempre fuori led luminosi, proiezioni, schermi televisivi. È un segno dei tempi certamente. Io ci lavoro da quaranta, cinquant'anni. Lo facevo quando si chiamava ancora elettronica. Mi ritengo, e lo sono sempre stato, all'avanguardia».


Ed è lì l'umanizzazione di cui parla?
«Ho messo insieme tecnologia e scenografia, cinema e teatro, opera lirica e tv. L'ho fatto qualche anno fa con Fenix Dna alla Fenice di Venezia, grazie all'allora sovrintendente Cristiano Chiarot che mi disse: Invece di disegnare una scenografia, maestro le offro il teatro. Fu memorabile».


Le piacerebbe tornare alla Fenice?
«Sì, mi piacerebbe ritrovare la stessa magia. Anche se può non essere la stessa cosa. Il teatro è per me importantissimo. Il teatro può essere contaminato dalle persone. Come è noto nel mio lavoro non c'è una presenza fisica, solo elementi naturali...».


E quindi?
«Con il teatro mi prendo una vacanza, metto il mio lavoro a contatto con le persone fisiche. È una bella esperienza».


E ora altri programmi?
«Dopo Abu Dhabi, la mostra si trasferirà a Dubai, al Burj al Arab, il lussuosissimo albergo degli Emirati. Un luogo faraonico. Qui le mie installazioni troveranno spazio attorno ad un gigantesco acquario. Sarà un dialogo affascinante. Nel frattempo, in occasione dei duecento anni della Louis Vuitton, in tutto le vetrine della maison è esposto un baule sospeso nell'acqua con all'interno un flusso corrente d'oro. Lo hanno chiamato Louis».


E in Italia? Ci saranno nuove occasioni di vedere le opere di Fabrizio Plessi?
«Stiamo lavorando alacremente. Un altro grande appuntamento per me sarà il prossimo anno a Milano. Porterò un lavoro nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Qui esporrò dodici barche, ognuna di dieci metri d'altezza. In passato vi erano delle cascate d'acqua che precipitavano verso il basso rappresentando il senso degli oceani. Per questa nuova occasione milanese, le cascate saranno invece tutte d'oro».


E a Venezia?
«Nel settembre del 2022 dovrebbe finalmente aprire i battenti Plessi-L'età dell'oro alla Galleria Museo di Ca' Pesaro che si sarebbe dovuta tenere nel 2020, ma poi la pandemia ha bloccato tutto. Sarà per me un'altra grande occasione».

Ultimo aggiornamento: 17:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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