Miozzi, i suoi ponti e la Grande Venezia: in un libro tutta l'arte dell'ingegnere visionario

Domenica 15 Maggio 2022 di Pieralvise Zorzi
Eugenio Miozzi

VENEZIA - A dire una battuta con lui Venezia non fu più un'isola. Certo, c'era fino ad allora il ponte ferroviario, ma per le automobili era una battesimo ufficiale. «Purtroppo per chi fa, la fatica maggiore non consiste nel fare, ma nel dover sopportare le chiacchiere di chi non fa». Queste parole, che dovrebbero essere scolpite nella testa di tanti odierni leoni da tastiera, sono di un geniale personaggio che su fare e fare bene impostò la sua filosofia di vita. Eugenio Miozzi, ingegnere italiano, bresciano classe 1889, diventa veneziano nel 1931 quando si trasferisce in Laguna. Ora un formidabile libro Venezia tra innovazione e tradizione 1931-1969 di Clemens Kusch, edito da Dom Publishers, rievoca la figura di questo visionario professionista, in occasione del 50. anniversario del Centro Tedesco di Studi veneziani. Kusch è probabilmente il massimo esperto di Eugenio Miozzi e ha effettuato i suoi studi nell'ambito del progetto Ponti - comunicare (con) Venezia, mettendo subito le cose in chiaro: Miozzi è soprattutto un costruttore di ponti, in un momento in cui Venezia ne aveva particolarmente bisogno ma non solo.

LE OPERE
Siamo attono ai primi anni Trenta del Novecento tra infinite, controverse e talvolta folli proposte sta nascendo quella poi viene definita la Grande Venezia. Nel 1926 con l'inclusione dei municipi di Mestre, Favaro, Chirignago il territorio di Venezia diventa quello che è oggi: laguna e terraferma. È quindi indispensabile una rete di collegamenti dove l'auto, strumento fondamentale del futuro, possa avere un ruolo importante. E qui arriva Miozzi. Ha un curriculum impressionante. Ha costruito ponti a Belluno, a Cima Gogna, a Bolzano, altri trenta tra Piave, Adige e affluenti. Appena insediato come Ingegnere Capo del Comune, presenta il progetto del ponte automobilistico ed ottenuto l'incarico lo realizza in 18 mesi, con turni di lavoro a rotazione per 24 ore al giorno e riuscendo pure a risparmiare sulle spese. Il che oggi, alla luce di tempi biblici e celebri sforature di budget, suona incredibile; ancora più incredibile è che, come lo stesso Miozzi dichiarerà, con quei soldi risparmiati si poté realizzare il Ponte degli Scalzi. L'agile bianco ponte ad una sola campata, che molti credono antico, vanta almeno due record: è il secondo ponte in pietra sul Canal Grande dopo quello di Rialto ed è realizzato senza l'uso di cemento armato né putrelle di ferro ma solo in blocchi di pietra d'Istria, con un particolarissimo metodo detto delle lesioni sistematiche.
ESPERTO IDRAULICO
Ora, queste due creature di Miozzi le conoscono tutti o quasi, così come il Ponte dell'Accademia, il ponte provvisorio più definitivo del mondo. Eppure dal 1931 al 1942 il nostro multiforme ingegnere ed architetto non si ferma mai e crea letteralmente una nuova Venezia, che poi è quella che conosciamo oggi: il Rio Novo e i suoi ponti, così armonici con il contesto veneziano da sembrare lì da sempre. L'autorimessa comunale di Piazzale Roma. Il restauro della Fenice. La creazione della sede del Lido del Casinò. La ricostruzione del Ponte dell'Arsenale sul Rio delle Galeazze sul modello dell'antico ponte levatoio.

Il tutto in tempi record, perché l'obiettivo di Miozzi era quello di realizzare i suoi progetti nei tempi più brevi e con la qualità.

L'IDEALISTA
Il libro ci svela l'aspetto meno conosciuto di Eugenio Miozzi: la visione del futuro, dove egli vede un sistema anfibio che fa convivere tradizione ed innovazione, la laguna e l'automobile. Ogni veneziano, secondo Miozzi, non dovrebbe essere distante più di 500 metri dalla sua automobile. Prima di chiudere la sua collaborazione col Comune egli pubblica il Piano di risanamento di Venezia insulare e il Progetto per la sistemazione definitiva di Piazzale Roma ma una volta passato all'attività privata si scatena con tre progetti ambiziosissimi. L'Autostrada Sublagunare, la Monaco-Venezia e il Porto di Sant'Ilario accanto a Porto Marghera. Miozzi vedeva Venezia insulare come punto di snodo commerciale della nascente Europa, ma, come sintetizza Kusch, per lui la modernità non significava affermare un nuovo stile architettonico, ma creare le condizioni perché possa essere tutelata la storia della città e perché in essa possano continuare a vivere e lavorare i cittadini. Ecco perché passerà gli ultimi anni della sua vita a progettare per la difesa, in tutti i sensi, di Venezia. Come lui stesso auspicava nei versi che scrisse a suo epitaffio: «Quando a suo tempo lo vorranno i fati che di mia vita sian spente le fonti, molti di quelli che oggi non son nati risaliranno ancora questi ponti. E chissà che di nomi del passato, accanto a Fra' Giocondo e a Scamozzi, non si ricordi anche il mio casato, il nome del fu ingegner Miozzi».
 

Ultimo aggiornamento: 16 Maggio, 10:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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