Doppia manifestazione a Mestre, in piazza arrivano anche gli estremisti

Sabato 31 Ottobre 2020 di Davide Tamiello
La manifestazione e il presidio della polizia in piazza Ferretto a Mestre
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MESTRE - Contestano la stessa cosa, ma lo fanno con sfumature diverse. Due piazze, due modi di manifestare la propria rabbia nei confronti di un Governo che, con l’ultimo Dpcm, ha chiesto ai cittadini uno sforzo che rischia, dopo le fatiche del lockdown, di avere conseguenze drammatiche. In piazza Ferretto si chiede di lavorare, c’è il rifiuto della chiusura da parte di ristoratori, gestori di palestre e sale da ballo. Tra quei 500, non tutti riescono a mantenere la calma: c’è una frangia estremista, negazionista, che urla cori da stadio, che alza il braccio in un saluto romano, che si abbassa la mascherina per sputare contro fotografi e giornalisti. Una minoranza, fortunatamente: i più vogliono solo che la frustrazione e il dolore per dei settori che stanno andando a rotoli non rimangano lettera morta. Dall’altra parte, in piazzale Donatori di Sangue, la protesta del mondo universitario e del lavoro più vicino alla sinistra. La “rabbia degna” si esprime con distanze rispettate e mascherine indossate con rigore, perché «l’emergenza sanitaria c’è e non vogliamo negarla, ma non possiamo rinunciare ai bisogni essenziali». La risposta? Sussidi per tutti e a tutti i livelli, possibilmente inserendo una patrimoniale sui grandi capitali. 
PIAZZA FERRETTO Il primo raduno, alle 17.30, è quello in piazza Ferretto. Il cuore di Mestre si riempie, un po’ alla volta, fino a saturare gran parte della zona pedonale. Quasi 600 persone, scese in strada grazie al tam tam sui social. «Non vogliamo l’elemosina dallo Stato, vogliamo Lavorare, prima andremo a Marghera a farci sentire da Zaia e poi andremo a Roma». L’ideatore è Stefano Minto, l’imprenditore veneziano che gestisce le aree ristoro di scuole, questura e Città Metropolitana. «L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro che ci è stato tolto con l’ennesimo Dpcm e la chiusura alle 18 - spiega - ci hanno fatto comprare i plexiglass e i disinfettanti per le mani e dopo che ci hanno costretti ad indebitarci con le banche per lavorare». 
Tutto bene fino alle 19, quando anche qui, come a Chioggia, qualche infiltrato ha pensato di monopolizzare la protesta cercando lo scontro. La polizia, schierata, ha impedito che gli animi caldi potessero degenerare come successo già in altre manifestazioni. 
PIAZZALE DONATORI Meno affollata e più ordinata la protesta organizzata in piazzale Donatori di sangue. Collettivo studentesco, centri sociali, Cobas: in tutto circa 150 persone. 
«Le nostre rivendicazioni sono chiare - spiega Sebastiano Bergamaschi del collettivo Loco - l’emergenza sanitaria c’è e non la sottovalutiamo, ma non vogliamo cedere al ricatto tra diritto alla salute e diritto alla vita. Non possiamo pensare che per tutti rimangano chiusi in casa senza aiuto. Non si può far pagare questa situazione a lavoratori e studenti. La strada? Sussidio per tutti». 
Al microfono si alternano, per raccontare la propria storia, attori di teatro, studenti, personale scolastico, baristi, precari. «Sono disoccupata, mi hanno staccato il gas - racconta una donna - come è possibile? Ho bisogno di luce e gas, come tutti. Il governo mi dia la possibilità di rimanere almeno al caldo, visto che devo restare a casa». Una studentessa del liceo Morin sposta l’attenzione sulla questione scuola e trasporti pubblici. «Abbiamo rispettato tutte le misure, siamo rimasti in classe con le mascherine, distanziamenti, tamponi. Però gli autobus per venire a scuola erano sempre strapieni. Cosa avete fatto finora?» 
A proposito di scuola, l’11 novembre gli ausiliari di Ames non lavoreranno: «Diserteremo gli asili - attacca una di loro - non è questo il modo di portare la sicurezza». Chanti, barista del centro storico, è rimasta senza lavoro perché il suo locale, all’ennesima serrata, è stato costretto ad abbassare la saracinesca.

E così anche i lavoratori a chiamata e gli artisti. «Sono un’attrice di teatro - lamenta una donna - avevo lavorato per mesi a uno spettacolo che ora, mi dicono, rimarrà sospeso fino a data da destinarsi. Perché? Perché chiudere i teatri e i cinema che sono gli ambienti più sicuri? Di cosa vivremo noi in questi mesi?».

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