Al papà vietato vedere la figlia, l'Unione Europea multa l'Italia

Martedì 4 Febbraio 2020 di Angela Pederiva
Al papà vietato vedere la figlia, l'Unione Europea multa l'Italia
Sarà l'Italia a pagare per la lesione del diritto di un papà a vedere sua figlia, benché dagli atti risulti che il loro rapporto è stato ostacolato dalla mamma. Lo stabilisce la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato lo Stato a versare 23.000 euro a un 46enne residente nel Veneziano, a cui l'ex compagna impediva di frequentare con regolarità la bambina. «I giudici nazionali non hanno adottato le misure idonee per creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del padre della minore», scrive la prima sezione di Strasburgo.

LA VICENDA
Quella riassunta dalla Corte è la storia di una relazione molto conflittuale. La coppia si separa nell'estate del 2009, quando lei va a vivere con la bimba di tre mesi nel Padovano e lui comincia a segnalare difficoltà nell'incontrare la piccola. Trascorrono tre anni di litigi fra i genitori, fallimento della mediazione da parte degli psicologi dell'azienda sanitaria, intervento dei servizi sociali, interruzione dei contatti. All'inizio del 2014 il Tribunale attribuisce l'affidamento esclusivo alla madre, ma prima della fine dell'anno la Corte d'Appello ammonisce la donna sul mancato rispetto del diritto di visita da parte del padre. Nel 2015 i giudici predispongono la custodia congiunta, però le difficoltà perdurano, tanto che nel 2017 gli assistenti sociali informano il procuratore e il giudice tutelare che la donna sta «manipolando la minore al fine di aizzarla» contro l'uomo. Così nel 2018, con un provvedimento deciso dal Tribunale e confermato in Appello, la bambina viene riaffidata ai servizi sociali, dopodiché il papà presenta ricorso contro la repubblica Italiana davanti alla Corte europea.

LE MOTIVAZIONI
Le sue ragioni sono state accolte dai magistrati di Strasburgo, secondo cui «nonostante la perizia che metteva in luce l'influenza nefasta della madre sulla minore e la necessità di intervenire affinché egli potesse mantenere un legame con sua figlia, le autorità non hanno trovato soluzioni». Il padre ha potuto esercitare il suo diritto di visita soltanto in maniera molto limitata a causa dell'opposizione della madre della minore, e quest'ultima ha così potuto mandare a monte qualsiasi progetto di riavvicinamento previsto». Ma perché deve rispondere lo Stato di un comportamento individuale? In effetti la Corte riconosce che «le autorità si sono trovate ad affrontare una situazione molto difficile, che derivava in particolare dalle tensioni esistenti tra i genitori» e ammette che «la mancata realizzazione del diritto di visita» del papà «era imputabile soprattutto all'evidente rifiuto» della mamma. Tuttavia il collegio europeo rammenta che «una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame famigliare». Al riguardo la Corte ritiene che i giudici interni «non abbiano adottato, fin dall'inizio della separazione dei genitori, quando la minore aveva solo un anno di età, delle misure concrete e utili volte a instaurare dei contatti effettivi e hanno successivamente tollerato per circa otto anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse che si instaurasse una vera e propria relazione tra il ricorrente e la figlia». Ecco perché lo Stato è stato condannato a rifondere all'uomo 13.000 euro (ma non 150.000 come chiedeva) per il danno morale, più altri 10.000 per le spese sostenute.
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