Il responsabile dei "salvataggi": «La notte del Mose tra ansia e spaventi. La prova più dura»

Martedì 29 Novembre 2022 di Roberta Brunetti
Le paratoie mobili del Mose sollevate. E' successo ben tre volte la scorsa settimana
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VENEZIA - Per 5 giorni, da lunedì a venerdì, è rimasto confinato nell’isola del Mose. Notte e giorno a dirigere le movimentazioni delle 78 paratoie gialle, mentre i tecnici delle squadre andavano a venivano, secondo i turni. Per Davide Sernaglia, responsabile delle operazioni di sollevamento del Mose, è stata una lunga non stop: qualche ora di sonno, in una delle stanzette ricavane nell’isolotto artificiale in bocca di porto al Lido, poi di nuovo davanti ai pannelli della control room. Adesso si gode la tregua dalle acque alte, ma soprattutto la soddisfazione di aver visto il Mose funzionare anche con una perturbazione importante, come quella di martedì, risparmiando alla città quella che sarebbe stata la terza acqua alta di sempre. «Il merito è di tutte le squadre e di tutti quelli che hanno dato una mano, dai militari che hanno garantito il ponte radio a chi si è occupato della logistica...» tiene a precisare questo ingegnere del Consorzio Venezia Nuova che da tre anni governa i sollevamenti delle barriere, si occupa della formazione dei tecnici, dell’automazione delle procedure.
Ingegnere, quella del 22 novembre é stata davvero la prova più difficile per il Mose?
«Lo è stata.

Un dislivello del genere non si era mai registrato. Abbiamo visto la marea crescere repentinamente, sperando si fermasse. Andava su a picco. Ho visto la centralina dare 192 centimetri a Malamocco, mentre la laguna era a 60».


A proposito di numeri, ne sono stati detti tanti. Facciamo chiarezza: senza Mose la marea non sarebbe arrivata a 192, ma attorno ai 170, in linea con quanto registrato alla piattaforma del Cnr.

«La piattaforma è fuori da ogni interferenza. Per questo il Comune prende quel dato come riferimento. Poi quel giorno, con le bocche di porto chiuse e il vento che spingeva il livello a ridosso delle paratoie si è alzato a 192 e oltre. Non sarebbe stato il livello dell’acqua alta a Venezia, ma quelle erano le sollecitazioni alle barriere. Le ho guardate tutto il tempo».


E ci sono stati imprevisti?


«A Chioggia ci sono stati problemi di rifornimento energetico, ma non per il nostro sistema. Un collega del turno nuovo si è comunque preso un gran spavento. Era uscito per fumarsi una sigaretta in piazzale e ha visto le luci del cantiere, che sono collegate alla rete del Comune, spegnersi. Ci ha avvisato subito, pensando che fossimo tutti senza corrente. In realtà per il Mose abbiamo una fornitura dedicata. A quel punto ho chiamato la linea diretta che abbiamo con Enel, dove mi hanno confermato i problemi che avevano a Chioggia, con interventi per disservizi continui. Ma per fortuna la nostra linea non è stata toccata».


Ci sono stati altri momenti complessi?


«Diciamo che la difficoltà era non sapere quando il vento si sarebbe fermato. Per questo avevo pianificato un’attività di 48 ore continuative con le tre squadre ad alternarsi nei turni. Le due più esperte nei momenti di movimentazione. Quella più nuova nella fase di mantenimento. É servito».


Poi ci sono stati altri tre giorni di lavoro per il Mose.


«Ma superata la perturbazione del 22, è stato come essere in uno stagno. Con una marea tranquilla, che saliva piano. C’era pure il sole».


Tornando al vento di martedì, ci sono state difficoltà a far salire le paratoie?


«Con eventi come quello, l’importante è partire presto perché c’è la corrente che spinge. Capisco le esigenze del porto che vorrebbe chiudere il più tardi possibile, ma io preferisco muovermi prima, non aspettare l’ultimo momento, magari capita un imprevisto, visto anche che il sistema non è ancora finito».


Avere il Mose ancora incompleto cosa comporta? Rispetto alla scorsa stagione di sollevamenti com’è la situazione?


«Nonostante il fermo dei cantieri sono stati fatti miracoli. Se l’anno scorso avevamo solo due linee di caricamento dell’aria per ogni paratoia, oggi sono da tre a quattro. I compressori in funzione erano quattro o cinque, oggi cinque o sei. É vero che gli impianti non sono finiti e abbiamo ancora i gruppi elettrogeni manuali, ma la macchina ora è molto più affidabile».


Cosa cambierà con il sistema ultimato?


«Le procedure resteranno queste per un bel po’. Ora vorrei intervenire per aumentare l’automazione. Molti dati vengono ancora inseriti dai tecnici. In prospettiva il sistema potrà autocalcolarsi i parametri. Così servirà meno personale. Si libereranno risorse da impiegare nel controllo».

 

Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 11:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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