Daniele Barbaro, un veneziano a Mosca: eccezionale scoperta al museo Pushkin

Martedì 18 Gennaio 2022 di Alessandro Marzo Magno
Daniele Barbaro

Eccezionale scoperta nelle collezioni del Museo Pushkin nella capitale russa. Durante una ricerca d'archivio, in un trattato di architettura di Vitruvio del 1511 sono state ritrovate delle note manoscritte di uno dei maggiori umanisti del Rinascimento che fu anche Patriarca di Aquileia. Sua la decisione di far costruire la villa di Maser a Andrea Palladio.


Clamoroso al Pushkin: trovati a Mosca manoscritti di Daniele Barbaro, uno dei maggiori umanisti del Cinquecento veneziano che, assieme al fratello Marcantonio, aveva commissionato ad Andrea Palladio la villa di Maser, affrescata da Paolo Veronese. Si tratta di una serie di note nelle pagine del trattato di architettura di Vitruvio pubblicato nel 1511 con le illustrazioni di fra' Giovanni Giocondo. Una cinquantina d'anni più tardi Barbaro tradurrà dal latino e commenterà l'opera di Vitruvio. Come spesso accade la scoperta è avvenuta per caso: le note manoscritte erano sotto gli occhi di tutti, ma il punto consisteva nell'identificarle. Ci sono riusciti Ekaterina Igoshina, bibliotecaria al Museo Pushkin di Mosca, Anna Markova, pure lei bibliotecaria del Pushkin, e Ilya Anikyev, storico del medioevo all'università statale di Mosca.
Il pretesto è stato un restauro che nel 2019 ha costretto a spostare i libri dagli scaffali. Igoshina aveva già adocchiato il Vitruvio del 1511, che è la più antica della ventina di cinquecentine possedute dal Pushkin, e una delle cinque copie del libro presenti nelle biblioteche russe. Si è quindi messa a esaminarlo e la sua attenzione è stata attratta dalle note scritte a mano a margine delle pagine a stampa. «Ho aperto il libro», spiega Igoshina, «che aveva attirato la mia attenzione e ho trovato un gran numero di glosse manoscritte, prevalentemente in latino, tutte in corsivo umanistico vergato in maniera veloce, nonché alcuni disegni sempre della stessa mano».


GLI INTRIGHI

Il libro è arrivato al Pushkin nel 1932 dalla biblioteca statale di Storia dell'arte, in precedenza, dal 1918 al 1924, si trovava nella biblioteca del Museo proletario del quartiere Blaguce-Lefortovskij di Mosca. Non si sa quando sia arrivato in Russia e dove fosse in precedenza, si può presumere, ma è solo un'ipotesi, che facesse parte di una qualche biblioteca nobiliare confiscata all'indomani della Rivoluzione Bolscevica. Grazie a una scritta autografa presente in una pagina del trattato, è stato possibile stabilire che nella seconda metà del Settecento (compare la data 1763) lo abbia posseduto Robert Melville, un generale scozzese appassionato di antichità. Da lì al 1918, però, se ne perdono le tracce. E quindi è senza dubbio un colpo di fortuna che quel libro ci sia giunto, poiché molte delle biblioteche nobiliari russe sono state date alle fiamme o disperse durante la rivoluzione.
Si sapeva che il Vitruvio era annotato, ma si presumeva che a commentarlo fosse stato Melville.

Invece Igoshina si è subito resa conto che non si trattava di una scrittura settecentesca, ma di grafia umanistica. Si è formato il team per unire competenza diverse: a Igoshina, storica dell'arte, si sono uniti Markova, storica del libro, e Anikyev, paleografo e sono cominciate le ricerche, durate un paio d'anni. Una volta stabilito che la scrittura risaliva alla seconda metà del Cinquecento, si trattava di capire chi avesse vergato quelle note, scritte in latino, lingua comune ai dotti di tutta Europa e che, di conseguenza, nulla diceva sulle origini geografiche del commentatore. Bisognava restringere il campo a chi avesse studiato Vitruvio, ma si trattava di più persone, c'era anche Leon Battista Alberti, tanto per fare un nome noto.


IL COMMENTARIO

«A un certo punto», precisa Igoshina, «abbiamo scoperto alcune frasi manoscritte, che non erano precedute da alcun nome, ma coincidevano parzialmente o completamente con il testo del trattato I dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio tradutti e commentati da monsignor Barbaro eletto patriarca di Aquilegia il che ci ha fatto pensare a Daniele Barbaro». A questo punto, scoperto l'indizio, bisognava trovare la prova. È arriva da una nota che recita: «leggi il discorso nel 4-to libro della mia traduzione a carta 9 segno vd», evidentemente Barbaro stava preparando la traduzione pubblicata nel 1556. Il manoscritto della traduzione esiste ed è conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia. Quindi, grazie alla collaborazione con i bibliotecari veneziani, e in particolare con Susy Marcon, si è riscontrato che nella carta 9 del manoscritto veneziano compare il segno vd, così come indicato nel libro del Pushkin. Il documento marciano è tra quelli messi online per cui è stato semplice consultarlo anche rimanendo a Mosca e si sono trovate altre corrispondenze: per esempio un modo particolare di scrivere la cifra due, oppure le abbreviazioni, uguali in entrambe le copie.


LO STUDIO

I risultati della ricerca sono stati riassunti in un articolo pubblicato da una rivista russa specializzata, Art Studies Magazin e sono stati presentati in un incontro al museo Pushkin al quale hanno partecipato studiosi russi e rappresentanti diplomatici italiani. Ora la ricerca prosegue con lo studio dei ventidue disegni tracciati a margine del Vitruvio del Pushkin, per trovare eventuali corrispondenze con il manoscritto veneziano. Sarà quindi necessario effettuare un confronto non solo con la versione elettronica del manoscritto, ma anche con quella cartacea, solo che in questo periodo di Covid i viaggi tra la Russia e l'Italia non sono affatto semplici. È prevista la pubblicazione nel 2024 di un volume con la trascrizione integrale delle note e di tutti i risultati della ricerca.


L'AMBASCIATORE

Questa scoperta è particolarmente significativa perché Daniele Barbaro è una delle figure più importanti del Rinascimento veneziano. Si è già detto che nel 1554, con il fratello Marcantonio, ambasciatore, commissiona ad Andrea Palladio la splendida villa Barbaro di Maser (Treviso) e che nel 1556, assieme a Palladio, cura le stesura in volgare del De Architectura di Vitruvio, ma è sempre Daniele Barbaro a portare Palladio a Venezia, considerandolo come l'incarnazione dell'architetto nuovo, e a disegnare e impostare, nel 1545, l'Orto botanico di Padova, tutt'oggi il più antico orto botanico del mondo rimasto nella medesima sede (quello di Pisa è precedente, ma ha cambiato collocazione), intatto nel suo impianto cinquecentesco. Daniele Barbaro frequentava tutti i più noti umanisti veneziani del periodo, a cominciare da Pietro Bembo, colui che ha trasformato il volgare di Dante, Petrarca e Boccaccio nell'italiano che parliamo noi oggi.
Nel 1548 il Consiglio dei dieci comincia a premere su Giovanni Grimani perché si scelga un successore al patriarcato di Aquileia. La carica religiosa era da tempo rimasta sempre all'interno della famiglia Grimani di Santa Maria Formosa, inoltre, come noto, la Signoria sceglieva i vescovi con cattedra nello stato veneziano e il papa si limitava a ratificare la nomina (cosa, questa, fonte di infiniti contrasti). Comunque la scelta di Grimani cade proprio su Daniele Barbaro, che nel 1550 diventa patriarca di Aquileia e in questa veste partecipa al concilio di Trento. Muore il 13 aprile 1570 e viene sepolto a San Francesco della Vigna.


      
 

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