D'Antiga e il "corvo", le manovre e le carte dell'ex parroco per avere l'eredità della fedele

Domenica 13 Dicembre 2020 di Nicola Munaro
Don Massimiliano D'Antiga, ex parroco ridotto allo stato laicale dal Papa

VENEZIA - Otto dicembre 2018, due anni fa. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, dispone una rivoluzione in seno alle parrocchie dell'area Marciana. Tra gli spostamenti anche quello di don Massimiliano D'Antiga: nei piani di Moraglia l'allora rettore di San Zulian e San Salvador (due chiese tra l'area Realtina e Marciana) si deve trasferire nella chiesa principale della diocesi, la Basilica di San Marco. Pochi metri, uno spostamento che sembra un nulla ma che a vederlo oggi è il primo refolo di vento di quella che diventerà la tempesta perfetta sulla chiesa lagunare. Don D'Antiga non accetterà lo spostamento andando allo scontro duro con il Patriarcato e da lì nulla sarà più come prima. Nasceranno invidie, vendette, accuse. Per mesi un corvo affiggerà volantini nel cuore di Venezia per colpire, con la diffamazione, il patriarca e quanti sono considerati nemici di D'Antiga.

Verranno istruite inchieste, si incardineranno due processi: uno, penale, ancora da celebrare e uno canonico chiuso con la riduzione allo stato laicale dell'ex sacerdote per volere stesso del successore di Pietro. Le accuse? Istigazione alla rivalità, all'odio e alla disobbedienza, lesione illegittima della buona fama, abuso della potestà ecclesiastica, inosservanza del dovere di conservare sempre la comunione con la Chiesa, del dovere dei chierici di condurre una vita semplice e del distacco dai beni e dell'obbligo di astenersi da ciò che è sconveniente e alieno dallo stato clericale, con la speciale gravità implicata dalla necessità di prevenire o riparare gli scandali. La sentenza del Vaticano? Riduzione allo stato laicale. Inappellabile.

LO SCONTRO A raccontare l'incipit del gran rifiuto sono le 1.200 pagine con le quali la procura di Venezia ha chiuso l'inchiesta dei carabinieri sul corvo del Patriarcato, al secolo Enrico Di Giorgi, milanese, ex manager della Montedison a Marghera e con casa a Venezia. Lo spunto lo offre la testimonianza di don Angelo Pagan, vicario generale del Patriarcato. «Ero all'incontro nel quale il patriarca ha presentato il suo progetto di riordino pastorale - dice ai carabinieri che lo interrogano come testimone il 31 ottobre 2019 - Quando (D'Antiga, ndr) ha capito che avrebbe dovuto lasciare la chiesa di San Zulian ha cominciato ad agitarsi, minacciare il patriarca dicendo che quello era un abuso, che avrebbe informato Roma per avere chiarimenti, che ci sarebbero state rivoluzioni a Roma e a Venezia e rivelazioni di comportamenti immorali di sacerdoti di Venezia». Accuse continue, andate avanti per 45 minuti prima che don D'Antiga decidesse di andarsene, non prima di aver messo tutti in guardia che «non capivamo quello che stavamo facendo e che sarebbe successo un caos». La frattura non si ricompone più: don D'Antiga non accetta la proposta del patriarca e lascia la sua chiesa, diventata di colpo l'epicentro di uno scontro intestino.

FRA TINO E qualcosa, in effetti, succede. Il 30 gennaio 2019 a Venezia iniziano a comparire volantini affissi sui totem delle chiese o agli angoli delle calli. Raccontano di scenari lascivi, di notti orgiastiche con un tocco di pedofilia, di alti prelati arraffoni avari di denaro e una guida - il patriarca, «il dragone» - se non connivente quantomeno attenta a non incrociare con il proprio sguardo le malefatte dei suoi sacerdoti. Accuse a gran parte degli uomini di Dio della chiesa di San Marco affissi di notte, in modo che la mattina Venezia potesse tremare assieme alla sua chiesa di fronte ai racconti del povero Fra.Tino, il corvo della curia: Enrico Di Giorgi, ora a rischio processo. Si va avanti così, tra volantini e mail (una delle quali spedita alla redazione della cronaca di Venezia del Gazzettino) fino al 6 agosto 2019. Ma se Di Giorgi - assieme all'informatico milanese Gianluca Buoninconti - è solo l'esecutore, D'Antiga, scrive la procura di Venezia, «è il fulcro della vicenda in causa, la persona per il quale il Di Giorgi si è mosso per accompagnarlo nella sua battaglia» legale contro il Patriarcato. «Di Giorgi è per D'Antiga una certezza, una sicurezza e soprattutto un consigliere, anche spirituale. Il Di Giorgi lo conforta, lo indirizza, fornisce allo stesso un promemoria sulle azioni da fare, scrive per suo conto delle lettere e delle mail». Non solo. «Don Massimiliano - si legge ancora - chiede al Di Giorgi i passi da fare per ottenere, senza possibilità di ricorsi, una eredità da parte di una fedele in punto di morte», quella di Annamaria Guglielmetti. La prova? Le foto di atti notarili trovate dai carabinieri durante le perquisizioni e «riferibili alla successione con la signora che vicina al proprio fine vita gli dona i propri averi». Quale sia il rapporto tra i due, lo spiegano ancora le carte dell'inchiesta: Di Giorgi decide di compromettersi così tanto per D'Antiga perché, e glielo scrive in un messaggio del 26 luglio 2019, per lui è un «carissimo amico e mio protettore».

La risposta del sacerdote? «Ti considero un dono prezioso di Gesù (...) Parlo spesso di te a Gesù e gli esprimo la mia preoccupazione per la tua incolumità (...) Ti considero mosso dallo Spirito Santo». Un rapporto continuo fatto di 601 contatti telefonici tra i due in otto mesi e così stretto al punto che quando i carabinieri perquisiscono la casa veneziana dell'ex manager Montedison scoprendo la stamperia dei volantini affissi nelle calli, trovano in appartamento anche il sacerdote. Sentito dai militari a sommarie informazioni, D'Antiga si sfila. «Chiedevo a Enrico di farsi portavoce con il comitato Fra.Tino, del quale posso asserire con quasi certezza che ne faccia parte, pregandolo di smetterla con il sistema diffamatorio mediante i volantini anonimi (...) e di dichiarare pubblicamente quanto ritenevano opportuno mettere a conoscenza dell'opinione pubblica e l'ipotesi di denunciare pubblicamente la mia estraneità (...) In passato gli avevo già manifestato la richiesta di comunicare a Fra.Tino di non pubblicare più niente; lui mi riferiva che se anche mi fossi messo in ginocchio Fra.Tino non avrebbe smesso perché quanto denunciava non lo faceva per me ma per amore della giustizia». La stessa che ieri ha ridotto allo stato laicale il «fulcro della vicenda». 

Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 15:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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