"Crimini a tavola: storie di cronaca nera nelle cucine della Serenissima", in edicola il nuovo libro de "Il Gazzettino"

Venerdì 10 Marzo 2023 di Alessandro Marzo Magno
"Crimini a tavola: storie di cronaca nera nelle cucine della Serenissima", in edicola il nuovo libro de "Il Gazzettino"

Quando il cibo uccideva e si uccideva con il cibo: è quello che ci racconta Davide Busato nel libro "Crimini a tavola. Storie di cronaca nera nelle cucine della Serenissima", edito da De Bastiani, che troverete allegato nel "Gazzettino" da sabato 11 marzo, in edicola a 7,90 euro più il costo del giornale. Già, perché quando si voleva somministrare un veleno accadeva molto spesso che lo si mescolasse al cibo, sia nei delitti veri e propri, sia nel caso di condanne a morte che dovevano essere eseguite in segreto. È questo il caso di Giovan Battista Donini detto Simoneto, conte di Belvedere e Coriano, provveditore e podestà di Ostiglia.
I tre inquisitori di stato Costantino Renier, Vincenzo Grimani e Filippo Venier nell'ottobre 1704 si limitano a dichiarare che fosse reo di gravissime colpe e decretano che debba essere ucciso.

In realtà Donini era una spia al servizio degli austriaci, trattandosi di un reato contro la sicurezza dello stato viene giudicato dai tre inquisitori che ne decretano la morte, senza però avvisare il Senato. L'uomo era già nelle prigioni del podestà di Verona e gli inquisitori comunicano di eseguire l'ordine «per le vie secrete, senza osservazione, e con la maggior sollecitudine, cosi che apparisca la sua morte naturale».


IL VELENO
Gli viene somministrato veleno nel vino e nel cibo, e dopo che il prigioniero si sente male, viene chiamato un medico. Questi comunica che il condannato, per stimolare il vomito aveva bevuto la propria urina. Il 5 novembre il podestà annuncia che «finalmente ha dovuto cedere alla violenza della materia et hieri sera circa un hora di note e morto». Nel 1768 Tomaso Zangirolami, di Boara Pisani, in Polesine confessa di aver avvelenato la nuora. Zangirolami, dopo aver ucciso la giovane, fugge lasciando un biglietto con scritto che si era procurato qualche tempo prima a Cittadella «quela polvere che fa morire» che in seguito «ho posto in quela pignata con la panà, e così anco nel pignatin con il brodo». Il veleno, come detto, ha poi avuto effetto procurando la morte della donna. Nel maggio 1790 gli inquisitori di stato processano un giovane di 26 anni, di brutto aspetto, ma molto colto e «studioso ed esperimentatore di materie elettriche, e di macchine areostatiche». Nella sua camera vengono trovati trattati su piante e minerali che spiegano come convertire quelle sostanze in veleni. Aveva già ucciso un giovane e stava avvelenando la cognata con l'arsenico. Vengono chiamati due spezieri (farmacisti) che scoprono dentro un baule ben undici veleni, della classe degli oppiacei, precipitato, verderame, orpimento e arsenico, alcuni de quali manipolati e misti con magnesia e con zucchero. Anche questi venivano somministrati mescolati al cibo. Piatti e misfatti.
 

Ultimo aggiornamento: 15:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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