Regole anti Covid, vietate in reparto
le estreme unzioni da sacerdoti esterni

Mercoledì 27 Gennaio 2021 di Alvise Sperandio
La celebrazione di una messa

I ricoverati per Covid, tanto in area non critica, quanto in terapia intensiva, non possono ricevere, se lo volessero, il sacramento dell’Unzione degli infermi.

I protocolli nazionali che regolano con misure di sicurezza ovviamente ferree l’accesso ai reparti, impediscono infatti anche ai sacerdoti l’ingresso nelle zone “blindate” di degenza riservate ai contagiati. Ne consegue che se una persona lì purtroppo si aggrava e muore, non solo lascia questa terra senza la vicinanza dei famigliari a cui parimenti  è preclusa ogni visita, ma anche senza il conforto, per chi ha fede, del sacramento impartito a chi si trova in condizioni di salute difficili o critiche. Un motivo in più, almeno per i credenti, che rende più difficile ancora la battaglia contro il virus.

Sul tema interviene don Gianni Antoniazzi, parroco di Carpenedo, con un articolo sul foglio settimanale “Lettera aperta”: «Una capo scout della parrocchia lavora in ospedale – scrive – Mi ha riferito di un paziente malato. Quella persona aveva chiesto l’estrema unzione prima di entrare in terapia intensiva. Proprio in quel periodo, pure il cappellano era sottoposto a cure mediche e dall’esterno non era permessa la visita dei sacerdoti. Così, vista l’urgenza della terapia, la persona è stata presto sedata e intubata senza ricevere alcun sacramento. C’era la speranza che potesse migliorare entro una settimana e invece il nome di quella persona è uscito dalla lista dei pazienti. È facile supporre che lei, come altri, non ce l’abbia fatta e resta il dispiacere che il suo ultimo desiderio non sia stato esaudito».

Parlando di cappellano, il riferimento è a don Francesco Barbiero, assistente spirituale all’Angelo, infermiere oltre che sacerdote, che ogni giorno si spende tra le corsie per stare a fianco dei malati, confessare, portare la comunione, accompagnare soprattutto quando il cammino è segnato. Proprio perché infermiere, in via del tutto eccezionale talvolta don Barbiero, d’intesa con i sanitari, è entrato nei reparti Covid, al capezzale di chi ormai si prepara al trapasso, per impartire l’Unzione degli infermi (succede anche in altri ospedali in tutta Italia, anche con i preti-medici che hanno deciso di impegnarsi in prima linea). Poi, però, lui stesso è stato contagiato e ricoverato e giocoforza in quel periodo anche quell’eccezionalità è venuta meno.

«Accedere ai reparti Covid – fanno sapere dalla Pastorale dei malati del Patriarcato – è una possibilità soggetta a procedure e restringimenti, per ovvie ragioni, particolarmente severi e monitorati. Non è dunque liberamente possibile inviare sacerdoti in reparto Covid, perché è necessaria un’adeguata formazione e il previo consenso delle autorità competenti». Il sacramento, peraltro, non può essere conferito da persone diverse da un sacerdote, fossero anche il diacono permanente o la suora che affiancano nella sua missione quotidiana don Barbiero. «In questo caso – riprende don Antoniazzi – bisogna ribadire che l’amore di Dio supera i limiti delle nostre povere forze umane. Non c’è dubbio che chi, in cuor suo, esprime il desiderio autentico della compagnia di Gesù, avrà al proprio fianco il Signore Risorto. Il Vangelo garantisce che il buon Pastore non lascia le sue pecore, neanche in mezzo alla “valle oscura”. Le parole “resta con noi perché si fa sera” attraversano i secoli e valgono per ogni uomo che vedesse tramontare il sole sulla giornata della sua esistenza». Ora don Francesco sta meglio e ha ripreso appieno il suo servizio pastorale. Invece, fuori dai reparti Covid, in quelli di degenza “ordinaria”, per l’Unzione degli infermi non ci sono problemi. E se il cappellano dell’ospedale non potesse, per un qualunque motivo, lui stesso è in grado di trovare un sostituto, anche se è logico e più frequente che la famiglia di un malato credente chieda l’intervento del proprio parroco o di un sacerdote amico. 
 

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