Venezia, "corvo" in Curia: la difesa a oltranza dell'ex parroco D'Antiga

Sabato 17 Dicembre 2022 di Gianluca Amadori
La testimonianza di don D'Antiga

VENEZIA - Massimo D'Antiga si è dipinto vittima tre volte: delle denunce di una persona «che non conoscevo» e che pubblicamente «si proclamava mio avversario», indicato in Alessandro Tamburini; di una Curia che lo trasferì, per poi cercare di mandarlo in un monastero e che infine lo ha processato senza ascoltare la sua versione, con una procedura «da Medioevo, da monarca assoluto»; e infine dei manifesti di cui fu tappezzata per mesi Venezia, inizialmente contro di lui e poi, a firma Fra Tino, diffamatori nei confronti del patriarca e della chiesa veneziana, di cui assicura di non aver mai saputo nulla, e che lo hanno gravemente danneggiato.


LA TESTIMONIANZA
L'ex parroco di San Zulian e San Salvador, a Venezia, ridotto allo stato laicale dal Papa due anni fa, ha deposto in qualità di testimone per quasi tre ore, ieri pomeriggio, al processo a carico di Enrico Di Giorgi, 76 anni, ex manager milanese alla Montedison di Marghera, e Gianluca Buoninconti, 55 anni, tecnico informatico di Milano, accusati di essere gli autori di quei volantini affissi tra gennaio e agosto del 2019, nei quali si narravano storie di prelati arraffoni, alcuni dei quali impegnati in notti orgiastiche dai risvolti pedofili, con un patriarca se non connivente, quantomeno intenzionato a chiudere un occhio.
Una deposizione pacata, nella quale D'Antiga ha voluto evidenziare la sofferenza patita per l'accaduto, negando acredine o rancore per allontanare da sè ogni possibile sospetto che lo possa indicare come l' ispiratore della campagna diffamatoria contro la Curia.


L'EX MANAGER
Pressato dalle domande della pm Daniela Moroni e dai legali delle parti civili, D'Antiga ha ricostruito la sua amicizia con Di Giorgi, spiegando che l'ex manager gli diede supporto in quei mesi emotivamente devastanti, ma negando di avere elementi certi per dire che fosse lui l'autore dei manifesti incriminati. Versione che, secondo la Procura è in contrasto con quanto da lui dichiarato ai carabinieri durante le indagini: «Quella era solo un'opinione. Pensavo che potessero essere alcuni fedeli, ma con Di Giorgi parlavo solo delle mie preoccupazioni e lui mi tranquillizzava dicendo che il contenuto dei manifesti non aveva a che fare con la mia situazione», ha precisato l'ex parroco. Con De Giorgi i rapporti erano assidui: ben 600 contatti telefonici in 8 mesi.
D'Antiga ha detto di non averlo mai conosciuto l'altro imputato, Buoninconti, e di sapere soltanto che avrebbe dovuto aiutare un gruppo di preghiera che voleva creare una chat.
L'ex parroco ha quindi negato di aver fomentato le proteste dei suoi parrocchiani, che si scagliarono contro il patriarca Moraglia dopo la decisione di rimuoverlo da San Zulian e San Salvador, nel dicembre del 2018: «Quello che accadeva l'ho saputo dai giornali: a tutti dicevo di stare tranquilli perché le proteste mi ostacolavano e danneggiavano».
D'Antiga ha quindi dichiarato di aver avuto rapporti buoni con tutti i religiosi che ora si sono costituiti parte civile nel processo contro i corvi.

Anche con Moraglia, che pure in un messaggio a Di Giorgi veniva da lui definito il Drago: «Tutta Venezia lo chiamava così, per via del suo sguardo duro».


L'AVVERSARIO
Quanto a Tamburini l'ex parroco ha ricordato che gli fu descritto come una persona «esagitata» e indicato come il «malfattore» che era stato cacciato dal Patriarca perché aveva cercato di ricattarlo al fine di costringerlo a trasferire lo stesso D'Antiga.
Tamburini, che ha ascoltato l'intera deposizione in aula, in piedi, con lo sguardo inchiodato sull'ex parroco, ha diramato un comunicato a fine udienza per annunciare che presenterà denuncia per falsa testimonianza: «È dal primo volantino che affermo che l'ideatore e la mente dei volantini diffamatori sia D'Antiga e lo proverò», ha dichiarato. La deposizione dell'ex parroco proseguirà il 27 gennaio.
 

Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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