Il medico, l'infermiere, l'operatrice: in ospedale il contagio "a catena"

Lunedì 24 Febbraio 2020 di Davide Tamiello
Il medico, l'infermiere, l'operatrice: in ospedale il contagio "a catena"
DOLO - La dottoressa, l'infermiere, l'addetta alle pulizie. Come ogni giorno, ieri erano in ospedale. Per un po' di giorni (almeno 14, quelli previsti dalla procedura) però continueranno a rimanere dall'altra parte della barricata. Non, cioè, come personale ospedaliero, ma come pazienti in quarantena, infettati dal coronavirus. Il loro contagio non è ignoto, l'anamnesi nel loro caso è abbastanza semplice: l'hanno contratto lavorando. Chi visitando e chi assistendo, in un modo o nell'altro, il 67enne di Oriago di Mira che da venerdì si trova ricoverato in Rianimazione a Padova. Il pensionato, infatti, lasciato il reparto di Medicina di Mirano, dopo l'evidente peggioramento del quadro clinico, e prima di essere trasferito all'ospedale della città del Santo, è passato per la Rianimazione di Dolo.  È qui, infatti, che gli è stato diagnosticato il coronavirus (o Covid-19).

I tre sono appunto una dottoressa residente a Mira (Venezia), un infermiere di Vigodarzere (Padova) e un'addetta alle pulizie di Campolongo Maggiore (Venezia). Per loro niente febbre, niente problemi respiratori-polmonari. Sono i cosiddetti portatori asintomatici, quelli che in medicina vengono considerati i più insidiosi perché appunto difficilmente riconoscibili, se non attraverso il test. Sono, dunque, il veicolo più pericoloso per il virus. Il problema, a questo punto, è con chi possano essere venuti a contatto in quelle ore trascorse tra il contatto con il pensionato infetto e i risultati del loro test.

Si procederà, quindi, con le stesse modalità adottate finora: a cerchi concentrici. Il nucleo è la persona contagiata, le verifiche quindi si concentreranno su tutte le persone più vicine (amici, famigliari, vicini di casa) via via riducendo la pressione a seconda della possibilità di incontro. La speranza è quella di bloccare la catena del contagio, anche se a queste condizioni si rischia di essere sempre un passo indietro al virus.

ATTESA PER I TEST
I test, comunque, non sono finiti. Il 67enne di Mira è stato per tre giorni in Medicina a Mirano, è passato per ben due volte in pronto soccorso. Le occasioni di contagio, quindi, sono tante. Sempre per quanto riguarda il personale: potrebbero arrivare altre sorprese. A Mirano, per esempio, i test si stanno facendo in queste ore. Qualcuno dei dipendenti in queste ore avrebbe la febbre, motivo per cui c'è grande attesa sugli esiti. I numeri, è inevitabile, in queste ore sono destinati a cambiare. Il pensionato di Oriago continua a essere il paziente più grave. Le sue condizioni continuano a essere critiche e monitorate ora per ora, nella speranza che cominci a rispondere positivamente alle terapie. Grave lui, gravi i due anziani veneziani, gli ultimi casi veneti di coronavirus, accertati ieri.
Nei due nosocomi dell'Ulss 3, per il momento, non si parla di chiusura. L'ipotesi di uno Schiavonia bis, per ora, quindi, è ancora lontana. Anche se un controllo maggiore e una limitazione negli accessi qualcuno ha già cominciato a chiederlo. La Cgil funzione pubblica, per esempio. «Abbiamo avuto numerose segnalazioni da parte di personale dell'ospedale - dice Daniele Giordano, segretario della Cgil Funzione pubblica di Venezia - molti ci dicono di non essere ancora stati sottoposti al tampone, compresi i dipendenti della cooperativa Css che hanno trasportato il malato a Padova. Crediamo che a questo punto sia fondamentale procedere con un rigido controllo degli accessi ai reparti. Sia da parte dell'utenza, sia da parte dei lavoratori stessi. Ci chiediamo, inoltre, se non sia il caso di valutare una riduzione degli orari di apertura».
 
Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 15:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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