«La vera musica sacra? E' sparita dalle chiese. Quello che si suona oggi è massificato e richiama quella di consumo»

Venerdì 23 Dicembre 2022 di Adriano Favaro
Paolo Furlani

L’allarme del compositore veneziano Paolo Furlani, vincitore del premio internazionale “Anima Mundi”: «Quello che si suona oggi è massificato e richiama quella di consumo, che sentiamo dappertutto. Uno dei motivi è che mancano i professionisti, ma bisognerebbe avere anche più coraggio nel produrre concerti attenti alla qualità».

Dice subito: «Quella che si sente nelle chiese adesso non è né carne né pesce.

Poiché sono cresciuto anch'io nel coro di una parrocchia tra musiche un po' banalotte - che riecheggiavano allora ritmi beat posso dire che adesso non è cambiato molto. La Chiesa dovrebbe avere più coraggio, dovrebbe produrre concerti, cercare di creare musica di qualità. Invece le note hanno fatto la stessa fine dell'arte sacra contemporanea che nelle chiesa nonostante gli inviti di Ratzinger e Ravasi spesso si ferma alle statue di gesso tutte brutte e tutte uguali».


E se in questi giorni di feste nelle chiese qualcosa cambia non è perché si ascoltino o cantino nuove produzioni, anzi. Ritornano musiche antiche, tradizionali, decisamente belle.
Così, fondendo sapori medievali e colori contemporanei, con questo stile Paolo Furlani veneziano, 58 anni ha vinto il premio internazionale di composizione sacra Anima Mundi. La sua Ave, o Maria per coro di voci bianche, archi e organo eseguita poco tempo fa nella cattedrale di Pisa. Furlani («sono nato a Legnago, il paese di Salieri») è diplomato in clarinetto, musica corale e composizione al Conservatorio di Venezia e in strumentazione per banda al Conservatorio di Parma; e diplomato anche in pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha composto dodici opere liriche e di musica sinfonica e da camera. Da Firenze, dove insegnava composizione al Conservatorio Cherubini adesso è docente a Vicenza.


Ascoltata la sua Ave, o Maria sa di musica antica ma è anche modernissima.
«C'è dentro anche la mia storia. Ho cominciato nel coro della parrocchia e la madre superiora disse: certo che per essere maschietto canti anche bene. Poi sono finito a suonare clarinetto nella banda e nel coro della parrocchia: canzoni beat e tante chitarre anche suonate malaccio, e canti sacri banalotti».


Niente gregoriano?
«Purtroppo la mia generazione non ha conosciuto quella musica e quei canti in diretta. Adesso invece insegno contrappunto rinascimentale, che è un patrimonio inestimabile per la nostra cultura. Per la mia Ave Maria ho pensato per linee e non per acordi, perciò suona come un'antica musica medievale. Per leggere questa melodia occorre ricordare che si sono due armonie che si fondono una nell'altra».


La tradizione musicale religiosa è stata permeata dal senso del sacro mentre adesso molte chitarre sembrano aver silenziato il sublime. C'è un sacro che si rinnova? Ci sono ancora spazi per poter guardare al sacro?
«Nella mia musica c'è forte legame con le arti visive: alcune immagini sono fortemente sacre, legate alle icone greche. Viaggio molto in Grecia e conosco la liturgia ordodossa: trasuda di storia e di sacro. Continua a non sapere perché ma la musica ortodossa conserva un'aura sacrale. Ho smontato quei meccanismi usando mezzi compositivi moderni: una linea di base e le altre voci che fanno il discanto. Questo cantare insieme dicono gli ortodossi si chiama sinfonia. Nella copertura della partitura ho messo l'immagine della Madonna della Salute, un'icona bizantina».


Lei insegna: nella scuola gli studenti conservano qualcosa del senso del sacro. Nella musica, per esempio?
«No, sempre meno. Solo un mio studente ha scritto una messa, perché legato al fratello sacerdote; e una donna che ha composto un brano sacro, per un concorso. Niente altro».


L'eclissi del sacro, quella che ricordava il sociologo veneto Sabino Acquaviva ha colpito anche la musica.
«Sì, ma si vede un recupero del rituale. Un esempio sono le opere nella Biennale Musica, come quelle eseguite a San Marco dove il percorso dei gesti e dei pensieri allude al sacro ma è invece formalizzazione. Un po' come se si facessero i movimenti della messa senza dire una parola sacra. Simbolicamente religosa; come faceva il compositore Stockhausen».


E spesso manca la partecipazione anche al rito.
«Nella mia opera per ragazzi, Il vestito nuovo dell'imperatore cerco il coinvolgimento diretto del pubblico che deve cantare qualcosa. Confesso che è idea rubata da Benjamin Britten, dovrebbero ricordarsi in tanti la sua Arca di Noè (sotto il tendone del Palafenice) con la processione del coro di bimbi che in coppia rappresentano gli animali che entrano nell'Arca, e il pubblico deve cantare».


Resta il fatto che la musica moderna sacra in chiesa spesso è un po' avvilente.
«Sì, né carne né pesce. Perché? Mancano i professionisti è una prima riposta. Per lo più ci sono dilettanti che suonano o cantano. Ma la situazione è complessa. Il concilio Vaticano Secondo era stata a risposta alla massificazione e le sue riforme adattavano il sacro al popolo, che così poteva partecipare. Però anche quella musica è di fatto massificata perché eco - misera e povera di contenuti - della musica di consumo, quella che sentiamo dappertutto».


Lei dice che quella musica va di parallelo con la morte della musica classica.
«La musica contemporanea si è chiusa in se stessa, non parla più col pubblico ed il pubblico si è spostato verso la musica di consumo. Il prodotto musicale è frutto di grandi investimenti di capitali: Madonna è curata dalla stessa agenzia pubblicitaria della Coca Cola. La musica é un prodotto e chi investe vuole far reddito».


Qualcuno di significativo che scrive musica sacra ci sarà
«Valentino Donella, uno dei miei insegnati che stava nella Scuola gregoriana di Verona, compositore, maestro di cappella nella cattedrale di Bergamo, dove fu maestro anche Gaetano Doninzetti. Scrive musica di oggi ma legata a tempi sacri, o a sacre rappresentazioni. Nella cappella Sistina monsignor Marco Frisina scrive cose sacre importanti (da molti è considerato il compositore di musica sacra più conosciuto al mondo, ndr). Servirebbero altre figure di questo livello; e soprattutto bisognerebbe trasferire ai livelli più bassi competenze e cultura. E la musica deve imparare da altre arti».


Ci fa un esempio?
«Un esempio? Gli ortodossi fanno icone allo stesso modo da secoli; e quele icone parlano ancora. Anche la musica gregoriana (dal nome del papa Gregorio Magno, VII sec. ndr) parla ancora. Bisognerebbe conoscerlo un po' di più: è alla base della nostra cultura.


I suoi maestri?
«Fabio Vacchi al conservatorio ma Luciano Berengo, che faceva il suggeritore alla Scala, mi ha isegnato tanto della musica. Poi Giuseppe Verdi. Verdi è forte, sincero, pregnante».

Ultimo aggiornamento: 18:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci