Viaggio a Famagosta, sulle tracce dell'antica presenza veneziana Foto

Domenica 18 Luglio 2021 di Alessandro Marzo Magno
Viaggio a Famagosta, sulle tracce dell'antica presenza veneziana

Viaggio a Famagosta, dove ovunque si trovano i segni dell'antica presenza veneziana che fanno da contraltare alla conquista dell'isola da parte degli Ottomani. Imperioso il bastione Martinengo, capolavoro dell'ingegneria militare rinascimentale. L'antica cattedrale gotica di San Nicola trasformata in una moschea. Una città fantasma che fa i conti con il proprio passato.


IL REPORTAGE
I segni della guerra sono ovunque a Famagosta.

Si vedono benissimo, anche se sono passati 450 anni da quando l'ultimo baluardo veneziano di Cipro è stato conquistato degli ottomani; basta saper guardare. Ecco le palle di cannone ancora infisse nei muri esterni della chiesa di San Giorgio dei Greci (omonima della chiesa greca di Venezia); sull'abside, invece, sono evidenti i buchi lasciati dalle cannonate. Lungo le mura interne dalla parte di terraferma, dove più aspri sono stati i combattimenti, non c'è una porta, o più in generale un'apertura, che non sia coronata dai segni dei colpi di archibugio. Dev'essere stato un inferno: immaginate gli ottomani che conquistano un pezzo di mura, i veneziani che si ritirano al riparo delle prime case della città, e quando i nemici provano a irrompere uscendo dalle posterle, li bersagliano di archibugiate. Ovunque si vedono palle di cannone: di ferro, di pietra, ne hanno fatto piramidi a mo' di monumento, oppure le hanno usate per decorare i montanti dei cancelli, esattamente come attorno al Montello e al Piave si fa con le granate della Prima guerra mondiale. E poi qua e là è sistemato qualche cannone; su alcuni si vede ancora il leone di San Marco, altri consumati dalle intemperie, non si capisce più se fossero ottomani o veneziani. 


LE FORTIFICAZIONI

Il bastione Martinengo è un capolavoro dell'ingegneria militare rinascimentale: progettato a metà Cinquecento da Giovanni Girolamo Sanmicheli (nipote del più celebre Michele), sta alla pari con la fortezza di Palmanova, o con il forte di Sant'Andrea, che faceva la guardia alla bocca di porto del Lido. Ci hanno messo nove anni a costruirlo e ha preso il nome da Alvise Martinengo, capitano di Famagosta quando sono terminati i lavori. Era talmente forte e ben fatto da non servire a niente: gli ottomani lo hanno semplicemente evitato, concentrando i loro sforzi sul lato più debole, quello verso l'interno della porta di terra, che in turco è detta bastione bianco perché proprio lì i veneziani il 1° agosto 1571 avrebbero esposto il drappo bianco, in segno di resa. Il bastione Martinengo è quasi intatto, in virtù dell'essere rimasto fuori dalle fasi più aspre della guerra. Eppure anche qua si vedono i segni dei combattimenti.

 


LA RITIRATA

I veneziani devono essersi ritirati in ordine, continuando a sparare, e si scorgono le impronte dei colpi attorno alle aperture: par di vedere il turbante con la penna di un giannizzero che si affaccia e un archibugiere che gli scarica contro l'arma. Tutto questo avveniva in luglio, con un caldo atroce e un sole battente che certo non aiutavano i soldati rivestiti di ferro. Tra l'altro il bastione è stato al centro di combattimenti anche nel 1974, durante l'aspra guerra tra turco e greco-ciprioti: parte della popolazione si è nascosta all'interno dei magazzini al tempo costruiti per conservare la polvere da sparo, ma ci sono ugualmente state vittime, come mostra un piccolo cimitero con alcune tombe, ricavato un po' in disparte. Famagosta oggi è una città fantasma, meglio: è il fantasma di quello che era. Appare come un affascinante insieme di ruderi gotici, un sito archeologico del tardo medioevo e della prima età moderna, non lontano dai più famosi siti dell'antichità classica: le colonne del palazzo rettorile veneziano sono state portate da Salamina di Cipro, tanto per fare un esempio. 


CRISTIANESIMO E ISLAM

Il motivo è presto detto e lo spiega Ege Uluca Tumer, docente di architettura e restauro nella Eastern Mediterranean University, di Cipro Nord. «Famagosta aveva dai 7 ai 10 mila abitanti in epoca veneziana, e soltanto 700 alla fine del periodo ottomano, nel 1878: un lento e costante declino. Dopo la conquista ottomana subito sono stati espulsi i cristiani latini, anche se parecchi di loro si sono convertiti all'Islam per rimanere. Un anno più tardi, nel 1572, sono stati mandati via pure i greci ortodossi, gli ottomani volevano che Famagosta diventasse una città turca. Nel Seicento gli abitanti erano ancora abbastanza, ma nei secoli successivi sono costantemente scesi, complici anche le paludi: era meglio andare a vivere in piccoli villaggi dove non si rischiava di morire per la malaria. All'interno delle mura non servivano più case, chiese trasformate in moschee, magazzini, e nemmeno i bagni che i turchi si erano affrettati a costruire dopo la conquista, bensì campi da coltivare. In tal modo gli edifici sono via via scomparsi per lasciare il posto ai terreni arabili. Ho individuato 42 costruzioni scomparse». Ci sarebbe un gran lavoro per gli archeologi. Questo spiega anche perché la maggior parte delle abitazioni della città vecchia siano nuove, la città ha ricominciato a ripopolarsi durante il periodo britannico, terminato nel 1960. 


IL DECLINO

Numerose chiese sono ridotte a ruderi, di alcune restano pochi pezzi di muri, come San Giorgio dei Latini, chiesa trecentesca costruita dai genovesi (Famagosta, importante porto sulle rotte verso il levante, nel medioevo è stata a lungo governata dalla famiglia Lusignano, con una pausa genovese di una novantina d'anni, fino a quando la regina Caterina Corner, già suddita veneziana, l'ha ceduta alla Serenissima, nel 1489). Nella chiesa di San Giorgio dei Greci si vedono ancora resti di affreschi, con i volti dei santi abrasi dagli ottomani, perché l'Islam vieta di raffigurare volti umani. «Questa piazza è stata testimone di molti avvenimenti storici» scrive un cartello nel principale slargo di quel rettangolo fortificato che è Famagosta. 


LA MORTE DI BRAGADIN

In effetti è stato qui che il 7 agosto 1571, probabilmente davanti alla cattedrale, è stato spellato vivo Marcantonio Bragadin, il comandante dei veneziani che si era arreso sei giorni prima perché i suoi uomini erano rimasti con soltanto sette barili di polvere da sparo. Il comandante ottomano, Lala Mustafà pascià aveva promessa salva la vita a lui e ai suoi uomini, ma poi ha cambiato idea e li ha massacrati. C'è un testimone di quei fatti, e anche di tutti gli altri: un albero di sicomoro, piantato pare nel 1299, quando sono cominciati io lavori per la cattedrale: regnavano i Lusignano e, usando il tufo locale, hanno costruito una magnificente cattedrale gotica che sembra planata dall'area del Reno. Ora è una moschea, intitolata al pascià massacratore; forse l'unica moschea gotica del mondo islamico. Dall'altro lato della piazza s'innalza una facciata rinascimentale: è stata costruita dai veneziani trasformando nella residenza dei rettori quello che in precedenza era il palazzo dei Lusignano. Oggi restano la facciata, alcuni tratti dei muri perimetrali e uno splendido sarcofago romano probabilmente portato lì dai veneziani, nel vasto spazio interno sono sistemati i tavolini di un caffè e un parcheggio. È tutta così Famagosta: il racconto di se stessa. Non manca nemmeno la buca delle lettere a colonna con le iniziali di Elisabetta II che, con la guida a sinistra e le prese di corrente a tre buchi, ricorda il periodo in cui Cipro era colonia britannica. 

Ultimo aggiornamento: 12:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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