VENEZIA «I cinesi con la valigetta zeppa di banconote? Forse dieci anni fa, ma adesso sono molto seri e conformi alle norme». Marco Francalli, 77 anni, vicepresidente vicario di Ascom Venezia, ha venduto recentemente ai cinesi il suo negozio in Calle Larga San Marco, a due passi dal salotto d'Europa.
L'UNICA SOLUZIONE
«Mentre il negozio era in vendita, nessun veneziano mi ha contattato; ho tentato inutilmente anche di cederlo ai miei dipendenti. Non c'è stato niente da fare: i cinesi rappresentavano l'unica soluzione per vendere ad un prezzo equo. Altri colleghi mi hanno raccontato la medesima cosa, ovvero che nella loro esperienza i cinesi si sono dimostrati puntuali e soprattutto affidabili. L'occasione che offrivo era assai appetibile, perché il locale si trova proprio accanto alla Piazza, in una delle direttrici più seguite dai flussi. Non so, è come se noi commercianti non avessimo creato i nostri sostituti; forse i veneziani stessi hanno dimenticato cosa sia la professione del commerciante».
CITTÀ MALATA
«Mi rendo conto che parte della città è ormai cinese - conclude Francalli - d'altronde sembra che solo loro credano nel futuro mercato nella città ed abbiano i capitali per farlo rifiorire. I veneziani sembrano disinteressarsene o forse hanno capito che il vecchio commercio a Venezia è finito. Resta solo l'offerta per i turisti. Padova o Verona si salvano, perché il commercio in quelle città si rivolge anche ai residenti ed in qualche modo va a compensare l'eventuale mancanza del turismo. Qui, invece, l'offerta si presenta a senso unico e non si intravede un'inversione di tendenza. Proprio a partire da questo anno zero per Venezia, si dovrebbe programmare il futuro della città e porre le basi per un differente modo di vivere e di venire a visitare Venezia, anche con una diversificata gestione dell'offerta commerciale. Temo, invece, che dopo tante parole sulle ricette da applicare ad una Venezia malata, ci sia chi preferisce che tutto torni come prima, con 30 milioni di turisti e paccottiglia da vendere».