VENEZIA - Negli spazi dell’Arsenale, alla cerimonia di apertura della mostra del padiglione cinese, l’ordine di scuderia è di parlare «soltanto di arte». «Il sole è tornato a splendere» dice la rappresentante degli organizzatori cinesi, nel presentare il curatore della mostra, il professor Ruan Xing.
MURAGLIA DI SILENZIO
Insomma un tema caldo, da tempo all’attenzione della comunità internazionale sul fronte dei diritti umani, che le immagini esposte alla Biennale riportano al centro. Ed ecco probabilmente la scelta di cancellare precipitosamente gli eventi veneziani di ieri. Oltre alla cerimonia di apertura della mostra con l’ambasciatore, in programma c’era anche una cena di gala a Ca’ Sagredo, hotel di lusso sul Canal Grande. Cancellate entrambe con una mail inviata domenica sera alla quarantina di invitati in cui si adducono «circostanze impreviste». Ma ieri ufficialmente nessuno ha voluto confermare il collegamento tra il cambio di programma e la denuncia dei campi di prigionia. «L’ambasciatore ha altri impegni istituzionali fuori Venezia. L’agenda è troppo piena» hanno risposto al telefono dall’Ambasciata cinese di Roma. Alla richiesta se c’entrasse l’opera sullo Xinjiang, nessuna risposta diretta, solo una precisazione. «Abbiamo già parlato con il presidente della Fondazione Biennale di questa modifica di programma». E di fronte a questa versione, anche la Biennale è rimasta in silenzio. Nessun commento dal presidente Roberto Cicutto, né dalla curatrice Lokko. Poi, in serata, la stessa Ambasciata cinese ha diffuso una nota in cui si sostiene che c’è stata una speculazione giornalistica, che non esiste alcun genocidio nello Xinjiang, che i «reportage pertinenti si discostano seriamente dai fatti e le cosiddette “prove” si basano su una grande quantità di informazioni false».
CERIMONIA MINORE
Intanto al padiglione cinese si è tenuta comunque una cerimonia di apertura. In assenza di ambasciatore e delegazione ministeriale, dopo aver inviato le mail di cancellazione agli invitati italiani, è stata un evento in tono minore. Palpabile il fastidio per la notizia della cancellazione anticipata dal Gazzettino. Anche qui nessuno ha voluto commentare. «Qui si parla solo di arte» hanno precisato gli organizzatori, attraverso una interprete. Poi è stata la volta dei discorsi ufficiali. Il curatore ha spiegato il senso di una mostra tutta dedicata al rinnovamento che nel contesto culturale cinese è uno «stato mentale», dove i cambiamenti avvengono nella continuità. Così raccontano foto e plastici dedicati alle grandi trasformazioni vissute dalla Cina negli ultimi 40 anni. Applausi e brindisi, nel giardino accanto alle Gagiandre. Dall’altra parte dell’Arsenale, in uno spazio delle Corderie, continuano a scorrere le immagini del video sui campi di detenzione. «Abbiamo calcolato che possono contenere oltre un milione di persone - spiega Killing -. Uno su 25 dell’intera popolazione dello Xinjiang». Solo «bugie» per l’Ambasciata cinese.