Cesco Baseggio, il più grande e dimenticato: ritratto di un uomo e di un'epoca

Martedì 19 Gennaio 2021 di Adriano Favaro
Cesco Baseggio

VENEZIA «Ho lavorato con molti attori: non ho dubbi quando dico che il più grande era lui, Cesco Baseggio». Bisogna credere a quello che ha ripetuto più volte Vittorio Pregel, attore-suggeritore, veneziano, per decenni a fianco di Cesco Baseggio. Il più grande, ma forse anche uno dei più dimenticati. Il portavoce di Goldoni nella modernità per tutti lui sarà sempre Sior Todaro Brontolon o Lunardo dei Rusteghi - moriva 50 anni fa per un attacco di asma bronchiale, nella notte tra il 21 e 22 gennaio in un ospedale di Catania, dove lavorava come regista. Era nato il 13 aprile 1897 a Treviso città dove la madre, il soprano Irma Barbanti (il padre Arturo era violinista) si era spostata per il parto raggiungendo la famiglia di origine. «Nel web si legge che Baseggio fosse figlio illegittimo di uno degli ultimi eredi dei nobili Manin: tutte invenzioni», spiega Paolo Puppa, drammaturgo, regista, docente universitario, autore del libro Cesco Baseggio. Ritratto dell'attore da vecchio nel quale ha indagato nella vita dell'attore veneziano che non amava raccontare della sua nascita a Treviso. E del resto fu registrato all'anagrafe di Venezia, tanto basta per la gloria delle origini.
SUL PALCOSCENICO
Chi lo ha visto recitare - mentre i più lo hanno incontrato nei riti settimanali della giovane TV degli anni 60 sa che Cesco Baseggio ha mostrato all'Italia il volto di una veneticità goldoniana che non esiste più; e che lui stesso, anzi, aveva contribuito a re-inventare col suo fortissimo carattere. Ricordava l'attore feltrino Toni Barpi (morto a Treviso nel 2013 a 93 anni) una delle colonne della compagnia di Baseggio: «Lui diceva sempre: dopo de Dio, ghe son mi. Un egocentrico che però sapeva valorizzare gli attori della sua compagnia; era un grande maestro».
«Dimenticato Baseggio? - commenta Paolo Puppa - Tutti gli attori fanno fatica a lasciare tracce. Per il teatro Goldoni di Venezia ho registrato un monologo in sua memoria, verrà trasmesso in streaming il 12 febbraio. Bisogna ricordare che negli anni '50 e '60 lui lottava per il primato italiano con Edoardo De Filippo. Era un attore pop, ha realizzato certe serate mitiche, divenne famosissimo, lo chiamavano spesso a fare pubblicità. Era un uomo di forza e di vizi. Tra questi il gioco: in una notte dilapidò a poker il valore di un palazzo che aveva a Roma, arredi compresi. In tutta la sua vita ha buttato una fortuna enorme, accumulata anche con 52 film: Baseggio ne aveva fatti tanti durante la Repubblica di Salò, recitando nelle strutture della Giudecca; allora Cinecittà era occupata dagli americani». Ma quando morì era così povero che non aveva i soldi per il funerale.
Il destino dell'oblio ha toccato da tempo Baseggio; come ha ormai travolto Carlo Goldoni, raramente messo in scena da compagnie importanti; sparito anche dalla televisione o quasi. «Edoardo De Filippo invece c'è spesso in tv - spiega Puppa Lui si trova in una civiltà con milioni di parlanti e un forte consumo attivo mentre la lingua veneziana registra un numero irrisorio di parlanti. Eppure Baseggio ha scritto molto di teatro, senza mai stampare i copioni, e molto è andato perso».
PROTAGONISTA ANTICO
Anche Gianna Marcato, docente di dialettologia a Padova osserva come Baseggio sia dimenticato perché Venezia non è più città, ma luogo di invasione turistica. Il resto della cultura contadina veneta poi è andata distrutta, come dice Zanzotto, dai capannoni. E c'è stata una cesura linguistica col dialetto perché il Veneto non vuole più riconoscersi nel suo passato di povertà. Così anche Goldoni - che scrive nell'italiano che si parlava a Venezia, quindi comprensibile da tutti è stato messo da parte, perché non è più valorizzato il modello veneziano. Alla decadenza poi ha contribuito il fatto che Baseggio avesse presentato in modo così personale (e di maniera) il mondo di Goldoni, tanto da soffocare tutto il resto, comprese le idee nuove».
ABILE IMPRESARIO
Per Carmelo Alberti, critico, docente a Ca' Foscari, autore di un saggio sull'«Ultimo grande impresario teatrale» Baseggio è stato Impresario di se stesso, ultimo capocomico di razza in una dimensione italiana dove le compagnie del sud recitavano tranquillamente e a lungo nel loro dialetto al nord, e viceversa. In realtà tutti inventavano una lingua dialettale: Baseggio da grande attore ottocentesco, unisce teatro a cinema va in tv e tutta Italia lo capisce. Edoardo De Filippo del resto ha fatto tutto il suo teatro in tv».
La vita di Baseggio sembra un copione da film: da giovane studia violino, strumento che lascerà quando viene folgorato dalle prime esperienze di teatro. «Nel 1927 annota Puppa - non ha ancora trent'anni e mette in scena il Mercante di Venezia riscritto in dialetto da Guido Perale maestro elementare e Adriano Lami avvocato toscano. Commedia dal successo strepitoso a Roma e poi Milano»; città dove Cesco si dice - travolto dagli applausi sverrà a sipario calato, anche perché non mangiava da due giorni.
I RUOLI
«La raffigurazione dell'avaro con le torsioni delle grandi mani racconta Puppa - è grandiosa e tragica. Giorgio Gusso, attore della sua compagnia, raccontava che Cesco sollevava da solo con una mano poltrone di salotto. E Baseggio nell'ebreo rapace e crudele vede anche l'omosessuale; ma nascondeva questa sua attitudine amorosa, in quegli anni era proibita qualsiasi manifestazione». «E se l'attore ricorda Alberti - ha realizzato Shakespeare in veneziano, anche Eduardo De Filippo ha lasciato una meravigliosa traduzione in napoletano della Tempesta».
Attorniato dai grandi nomi del teatro dell'epoca - come Emilio Zago, un fauno dalla comicità truculenta, Ferruccio Benigni, che lanciò a teatro i testi di Gallina, amaro e crepuscolare, o come Carlo Micheluzzi e Gianfranco Giachetti Baseggio cresce in fama e gloria. Ma deve vincere momenti di grandi crisi: «Quanti forni (sale quasi vuote ndr) ha avuto Baseggio ricorda Puppa . Per questo proponevano spettacoli mattutini alle scuole, per cercare di rimpinguare la cassa: spettacoli indegni dove studenti che facevano casino ma qualche studente veniva macinato dalla sua grandezza». Il suggeritore Vittorio Pregel rivalutava quei momenti: «Credo che negli anni '50 la sua compagnia fosse l'unica a proporre spettacoli per le scuole. Una scelta culturale».
CONTRO LA BUROCRAZIA
Era anche ostile ai teatri stabili: «lui era regista attore, era tutto» sorride Puppa ricordando che nel 1956 Paolo Grassi da Milano prova ad esportare il modello dello stabile, ma Baseggio gli resiste. È l'attore veneziano a riportare in scena il teatro di Ruzante, che era stato dimenticato, oltre a rilanciare le opere di Goldoni. Amava vestirsi da donna l'attore, e faceva ridere in quel ruolo i colleghi militari al fronte in Albania, così come gli riuscivano benissimo ruoli con le còtole quando recitava nelle vesti di papa Sarto - tre atti, scritti da Bepi Maffioli (la Rai lo mandò in onda nel 1963) o in quelle del Prete Rosso, sempre di Maffioli sulla vita di Vivaldi, commedia tv appena trasmessa da Rai 5.
«Ma c'è una cosa che non ha mai fatto Baseggio - commenta Carmelo Alberti cioè trasmettere il mestiere. Un maestro senza veri allievi che però vale la pena di rivedere ancora adesso (nel web si trovano intere commedie ndr). È un tuffo in un passato pieno di sapore, con un dialetto comprensibilissimo». Di Baseggio Vitaliano Trevisan, scrittore e attore ha un'idea precisa : «Lo guardavo in tv con i miei genitori, era molto seguito e popolare, attore con qualità alta; una specializzazione che si è persa. Io ho anche riscritto Goldoni, ma quel lavoro è caduto nella mani di regie sbagliate: adesso si attualizza Goldoni e si fanno castronerie magari mostrando donne oppresse. Ma non è così».
 

Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 14:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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