«Casa di riposo blindata, mio padre malato sta morendo in solitudine»

Lunedì 21 Settembre 2020 di Paolo Guidone
«Casa di riposo blindata, mio padre malato sta morendo in solitudine»
MESTRE - «Mio padre sta morendo in solitudine, tra flebo, cateteri e con le piaghe da decubito al terzo stadio e io non posso vederlo nemmeno per dargli l’ultimo saluto». Non riesce a trattenere le lacrime Laura, nel raccontare gli ultimi sei mesi durante i quali è riuscita a incontrare solo due volte, per 15 minuti ciascuna, il padre affetto da morbo di Parkinson in fase avanzata, ricoverato nella Rsa Antica Scuola dei Battuti di Mestre. Quando ad agosto all’interno dell’Antica Scuola dei Battuti tra i degenti si sono registrati i primi casi di Covid 19, le misure di contenimento del virus sono state infatti rese ancora più stringenti. E questo sta scatenando la protesta delle famiglie, come già raccontato nei giorni scorsi dal Gazzettino a proposito dei ricoverati nella Rsa Anni Azzurri di Favaro Veneto, dove è partita l’iniziativa di una lettera appello indirizzata al governatore Luca Zaia.
Dopo diversi anni di assistenza domiciliare, la famiglia di Laura si era dovuta arrendere di fronte al progressivo avanzamento della malattia e non aveva avuto altra scelta che quella di ricoverare il padre in una Rsa, quella di via Spalti a Mestre, dove prima del lockdown poteva ricevere le visite quotidianamente. Con l’applicazione delle rigide misure di sicurezza disposte dall’Ulss per prevenire focolai da Covid, da febbraio i contatti con i degenti sono diventati impossibili. «La situazione nelle Rsa è diventata tragica perché non ci è stato più permesso di assistere i nostri cari – spiega Laura – e noi non siamo più riusciti a sapere nulla delle condizioni di mio padre, se non attraverso poche videochiamate. Dopo oltre sei mesi, mi hanno chiamato solo per comunicarmi che mio padre non mangia più e che per nutrirlo devono applicargli un sondino nello stomaco e questo processo accelerato di deperimento mi ha spinto a chiedere di poterlo vedere, cosa che mi è stata negata. Più che come degenti gli ospiti di questa struttura vengono trattati come dei detenuti». Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, lo scambio di informazioni tra il personale interno e i famigliari dei degenti sarebbe diventato complicato: «Per essere informati sulle condizioni di salute di mio padre dobbiamo rincorrere gli infermieri – ricorda Laura – e quando chiamiamo la portineria, prima ci passano il piano dove è ricoverato mio padre e, se siamo fortunati e troviamo l’operatore più disponibile, riceviamo poche notizie veloci sulle sue condizioni di salute, se ha mangiato, se ha dormito e nulla di più. Solo qualche giorno fa dopo sei mesi ho ricevuto la prima chiamata dal medico della struttura che mi ha comunicato che mio padre non mangia più e pesa 40 chili ed ora, senza averlo nemmeno visto, devo assumermi la responsabilità di decidere se autorizzare o meno l’intervento per applicargli il sondino. E’ una situazione che sta diventando di una crudeltà infinita, lì dentro non si muore di Covid ma di solitudine e di disperazione e mi chiedo come sia possibile che dopo sei mesi non sia stata studiata una soluzione alternativa, anche a carico della famiglia che potrebbe fare il tampone e dotarsi di tutti i dispositivi necessari per recarsi in sicurezza all’interno della struttura».
Ultimo aggiornamento: 12:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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