Il pm Nordio: «Dopo le persone
ora indagheremo le aziende»

Giovedì 4 Giugno 2015
Il pm Nordio: «Dopo le persone ora indagheremo le aziende»
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VENEZIA - Il 4 giugno 2014 è una data entrata di diritto nella storia di Venezia, del Veneto e dell'Italia. Quella mattina scattò l'ondata di arresti per lo scandalo Mose, il sistema di dighe per la salvaguardia di Venezia. Un'inchiesta "monstre", anticipata dal Gazzettino.it, che ha coinvolto uomini politici di primo piano come l'ex governatore Galan, il sindaco di Venezia Orsoni, l'assessore veneto ai Trasporti Chisso, il tesoriere del Pd Marchese. Con loro manager, uomini dello Stato e personaggi di varia provenienza. Tutti uniti in un sistema che avrebbe drenato e fatto sparire una montagna di soldi pubblici. Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, è il coordinatore del pool di magistrati (Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Massimo Buccini) che quell'inchiesta hanno realizzato e costruito pezzo dopo pezzo.

Procuratore Nordio, il caso ha voluto che a quasi un anno esatto di distanza dallo scandalo Mose, in Veneto e a Venezia si sia votato. Quanto ha inciso, se ha inciso, quell'inchiesta sull'esito delle elezioni?

«Come magistrato mi è difficile rispondere perché non ci siamo mai posti il problema delle eventuali conseguenze politiche di un'azione giudiziaria dovuta. Come cittadino penso che l'unica vera conseguenza sia stata la disaffezione verso la politica che i fatti emersi hanno generato nei cittadini. Se in Italia c'e stato un aumento dell'astensionismo è anche a causa di vicende come il Mose».

Qualche partito però sembra aver pagato un prezzo maggiore di altri,

«Noi abbiamo indagato con eguale serietà e severità sia il numero uno del centrosinistra, cioè il sindaco di Venezia, sia il numero uno del centrodestra, ossia l'ex governatore del Veneto, dando così prova di imparzialità e di indifferenza rispetto al colore politico. E questo agli effetti delle conseguenze politiche ha determinato un risultato neutrale».

Ieri il nostro giornale ha dato notizia che a breve per due dei maggiori imputati dell'inchiesta, Galan e l'ex assessore Chisso, si concluderanno gli arresti domiciliari e quindi i due ormai ex uomini politici saranno di fatto liberi. Che sensazione le fa?

«Nessuna in particolare. Ribadisco la mia convinzione: c'è stato un patteggiamento, è stata concordata una pena equilibrata tenuto conto dei tempi della prescrizione e tenuto conto che la sanzione complessiva va valutata non solo sulla carcerazione ma anche alla sofferenza globale che viene inflitta: in questo caso c'è stata prima la prigione, poi i domiciliari e la restituzione importante di somme laddove sono state trovate. Non ultima, c'è stata l'estromissione definitiva dalla vita politica di queste persone. Se si valutano complessivamente tutti questi aspetti continuo a ritenere che il nostro risultato sia stato perlomeno accettabile. Aggiungo, che non è finita...»

In che senso?

«Ci sono anche le conseguenze fiscali che saranno accertate nelle sedi deputate e c'è un altro aspetto da considerare: se qualcuno ha portato soldi all'estero difficilmente potrà goderne perché, in conseguenza di recenti normative, è ben difficile entrarne in possesso, nel senso che i conti sono di fatto bloccati. L'unico modo per riaverli è riportarli ufficialmente in Italia, con tutte le conseguenze del caso, soprattutto laddove si tratta di proventi di reato».

A un anno di distanza dagli arresti, l'inchiesta sul Mose può considerarsi conclusa?

«No, non posso ovviamente dire in quali direzioni continuino le indagini, posso però dire che la seconda fase contempla l'applicazione della legge 231, che è una legge molto severa che processa le aziende. Quando un reato è commesso a vantaggio di una società si fanno due processi: uno nei confronti della persona fisica, l'altro nei confronti dell' azienda. Il primo rischia il carcere, la seconda sanzioni pecuniarie pesantissime fino all'interdizione dell'attività. È un atto dovuto.

Chi sono i soggetti coinvolti? I nomi che vengono alla mente sono quelli del Consorzio Venezia Nuova o della Mantovani o di società del sistema cooperativo.

«Preferisco non rispondere».

Ci sono altri filoni di indagine aperti?

«Direi filoni secondari. Nulla di lontanamente paragonabile al Mose».

Dodici mesi dopo, guardando all'indietro, che bilancio fa? Ci sono atti o parole di cui vi siete pentiti?

«Noi avevamo tre preoccupazioni. La prima era di dare attuazione simultanea a tutte le ordinanze anche per evitare lo stillicidio di inseguimenti; la seconda è che, quando si eseguono provvedimenti di questo genere a carico di persone "normali", non di pregiudicati, c'è sempre il rischio che possano esserci conseguenze deplorevoli sul piano umano; la terza che si strumentalizzasse questa inchiesta a fini politici. Devo dire che tutte queste preoccupazioni sono stati smentite. La Guardia di Finanza ha fatto un'operazione straordinariamente efficace; non ci sono stati fatti di particolare tensione e, da ultimo, è stata la prima inchiesta di importanza nazionale dove non si sono viste reazioni politiche scomposte. Infine, seppur con grande dispiacere di voi giornalisti, a fronte di migliaia di ore di intercettazioni, sui fascicoli giudiziari è finito solo ciò che era strettamente funzionale all'indagine. Il resto era e resta in cassaforte».

Nulla da rimproverarvi dunque?

«Sicuramente di errori ne abbiamo commessi. Ma da destra a sinistra è stato riconosciuto che abbiamo fatto un lavoro serio ed equilibrato. Le uniche critiche sono giunte sulla presunta mitezza delle pene, ma su questo ho già detto ciò che penso. Non voglio autocelebrarci, ma credo di poter dire che questa inchiesta sia stata un momento felice nella storia della magistratura italiana. Dopodiché, certo, come cittadino mi chiedo se ho fatto tutto ciò che potevo per evitare che uno scandalo come quello del Mose si verificasse. E la risposta non può che essere: probabilmente no. Ma noi come Procura non possiamo agire in modo preventivo. Quando interveniamo i fatti si sono già verificati».

Qualcuno sostiene che ci sia stato un uso eccessivo della carcerazione preventiva.

«Per un garantista, la carcerazione preventiva è sempre un'eccezione, una sofferenza. Ma abbiamo avuto la grande soddisfazione che tutti i nostri provvedimenti, salvo uno, siano stati confermati dal Tribunale della libertà. Non è poco».

Pressioni, momenti di difficoltà... non mi dica che non ce ne sono stati.

«Con i cosiddetti livelli istituzionali mai. C'è stata piena collaborazione. I momenti più critici hanno riguardato la salute degli imputati. Noi abbiamo fatto, non di tutto, ma di più, per tutelare ogni imputato. Poi abbiamo avuto anche la soddisfazione di vedere che magari le persone, una volta uscite dal carcere, non si sono sottoposte a quegli interventi gravosi e ineludibili da cui sembrava dipendesse la loro vita. Ma anche questo fa parte della fisiologia dei processi».

Uno dei provvedimenti che ha fatto più discutere sono stati gli arresti domiciliari del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni: immagino non avrà cambiato idea su quella scelta.

«Certo che no, quel provvedimento è stato controfirmato anche da me. E a ragion veduta. L'equilibrio del nostro atteggiamento processuale è stato addirittura criticato dal giudice che al momento del patteggiamento ha ritenuto la pena proposta troppo blanda. Se un rimprovero ci può essere fatto è quindi quello di essere stati troppo buoni».

Un alto ufficiale della Guardia di Finanza mi confessò di essersi messo a piangere alla notizia dell'arresto di un suo collega: non ci poteva credere. C'è qualche arresto in questa inchiesta che l'ha particolarmente colpita sul piano personale?

«Beh, io Giorgio Orsoni lo conosco da sempre, era all'università con me e aggiungo che la mia considerazione professionale nei suoi confronti resta immutata. Non mi sono messo a piangere, ma c'è stata delusione nel constatare che verso una persona come lui potesse scattare un provvedimento così severo. Purtroppo dobbiamo constatare che chi fa politica in Italia viene risucchiato in un ambiente in cui spesso certi comportamenti illeciti vengono considerati quasi normali».

A cosa si riferisce?

«Il finanziamento illecito ai partiti, un po' come l'evasione fiscale, in Italia non è mai stato considerato nella sua reale gravità. Forse è colpa della nostra cultura cattolica: se tu "rubi" per un ideale e non per andare a donnacce, da noi hai una scusante, è un'attenuante. Invece è vero il contrario. Il reato di finanziamento illecito ai partiti è un reato gravissimo perché chi lo commette deruba il cittadino due volte: prima perché si prende soldi che sono anche tuoi, secondo perché li dà a un partito che può non essere il tuo. Ma su questo con molti uomini politici è difficile trovare un punto d'intesa».

Per un lungo periodo in Veneto non ci sono state inchieste su affari e politica. Poi la tendenza si è invertita: gli arresti alla Venezia-Padova; quelli alla provincia di Venezia; il caso Bertoncello fino alla maxinchiesta sul Mose. Cos'è successo? O meglio: cos'è cambiato?

«È successo quello che era accaduto nel ’92. Anche lì c'erano state alcune avvisaglie, poi la vicenda è deflagrata. Perché? Per una concomitanza di fattori. Primo: l'esagerazione nella corruzione. Perché c'è un limite a tutto, anche all'illiceità e come nel ’92 anche nel caso del Mose si erano rotti tutti gli argini. Secondo: a un certo punto la corruzione ha dei costi che diventano insostenibili per le aziende. Terzo: la profonda crisi del tessuto politico. Questi fattori possiamo considerarli la miccia, il detonatore e la polvere da sparo dello scandalo. A differenza del 92 nel caso del Mose c'è stato poi anche un forte coinvolgimento degli organismi di controllo: un generale della Finanza, Magistrati alle Acque, Corte dei Conti».

Piccola appendice: in questi settimane si è molto parlato di rapporto tra politica e inchieste giudiziarie: il caso De Luca, gli impresentabili... Che idea se ne è fatto?

«Che l'Italia è l'unico paese al mondo in cui c'è una persona, De Luca appunto, che alcuni considerano eleggibile ma che non può governare; altri che non sia né eleggibile né che possa governare; altri che sia eleggibile e che possa governare. Questo è il frutto del guazzabuglio normativo in cui viviamo e della disgregazione anche logica della politica».

A proposito: vedremo mai Carlo Nordio in politica?

«Mai. Non ho mai voluto farla e non cambierò idea».
Ultimo aggiornamento: 08:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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