Caorle, presi i baby pusher: chi sono, quanto guadagnavano e dove spacciavano, ordini via chat, video porno di coetanee nei cellulari

Smerciavano mezzo chilo di stupefacente (tra marijuana e hashish) a settimana a giovani tra i 17 e i 13 anni. Il gruppetto è finito in comunità

Domenica 3 Aprile 2022 di Davide Tamiello
La banda degli spacciatori di 15 anni a Caorle
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CAORLE (VENEZIA) - C'era una volta l'estate degli adolescenti fatta di vacanze infinite, primi amori in spiaggia e gelato serale in piazza con gli amici. Oggi quella piazza è diventata più utile come vetrina per lo spaccio, i mesi di ferie sono il periodo migliore per incassare un gruzzolo che va ben al di là del tipico lavoretto stagionale e le decine di video pedopornografici nelle gallery del cellulare sembrano aver poco a che fare con i ricordi romantici di una love story d'agosto. I carabinieri di Portogruaro hanno così scoperto una baby associazione a delinquere di giovanissimi del posto, composta da due quindicenni e due sedicenni, che smerciava mezzo chilo di stupefacente (tra marijuana e hashish) a settimana a un'ampia platea di coetanei (tra i 17 e i 13 anni): un affare da ventimila euro al mese per il gruppetto che, ora, è finito in comunità per l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip dei tribunale dei minori di Trieste.

Baby spacciatori a Caorle: chi sono e cosa facevano

Il giudice contesta a tre ragazzini l'associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, a un quarto la detenzione ai fini di spaccio. Otto le perquisizioni domiciliari partite ieri tra le province di Venezia e Bolzano. Alcuni di loro, inoltre, dovranno rispondere anche dell'accusa di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico: filmati di coetanee (quindi minorenni) che circolavano in rete e che venivano inoltrati nelle varie chat. Nessuna autoproduzione, quindi, ma la sola detenzione di questo materiale è già un reato che rende più pesante un quadro accusatorio già corposo, come emerge dai dettagli dell'inchiesta.

Giovanissimi ma organizzati come una banda esperta. Se si parla di associazione a delinquere è perché c'erano dei ruoli ben definiti all'interno del gruppo. C'era il procacciatore di clienti, il venditore al dettaglio e chi si riforniva della merce. I ragazzi trattavano con i loro clienti tramite social: in questo modo concordavano su prezzo e quantità a priori e arrivavano sul posto già con la marijuana pesata, confezionata e pronta alla vendita. Gli scambi avvenivano all'oscuro, in luoghi isolati? Ma nemmeno per sogno: tutto alla luce del sole, tutto nel cuore della località balneare, il centro storico di Caorle.

Qui, tra luglio e agosto, i carabinieri hanno calcolato che i ragazzini erano arrivati a muovere circa due chili di droga al mese.

Quanto guadagnavano i baby pusher?


A seconda della partita a disposizione variava, ovviamente, il prezzo della merce. Mediamente si parla di dieci euro al grammo, da un minimo di sette a un massimo di diciassette. I ricavi, appunto, erano elevati: i quattro a questo ritmo erano arrivati a incassare circa cinquemila euro a settimana, una cifra di tutto rispetto per dei ragazzini.
 

Spacciatori ma figli di famiglie perbene

Si tratta di giovanissimi della città, studenti che provengono da famiglie perbene. Non hanno precedenti, non sono nati e cresciuti in contesti degradati ed è troppo presto per abusare di una definizione pesante come criminali. L'ipotesi più probabile è che la situazione sia sfuggita di mano: è iniziata comprando un po' di erba in compagnia per poi vedere che così, i soldi, erano veramente facili. Affari garantiti, inizialmente vendendo solo a qualche amichetto, per poi allargare il giro e diventare un punto di riferimento per tutta la Caorle under 18.

Spaccio organizzato in modo "aziendale"

L'inchiesta ora è solo all'inizio. I carabinieri devono approfondire diversi aspetti e, peraltro, con la massima delicatezza considerando l'età dei protagonisti. Sarà fondamentale risalire a chi era il loro fornitore, per esempio: come facevano dei quindicenni a disporre di oltre mezzo chilo di stupefacente a settimana? C'era un coordinatore, un livello più alto nella baby banda o facevano tutto da soli? Quel che impressiona, però, è il rigore scientifico con cui la banda si era dedicata all'attività. Perché il malloppo accumulato veniva quasi totalmente investito in altro stupefacente per potenziare gli affari. Il quartetto si limitava a comprare qualche cellulare e qualche capo d'abbigliamento firmato, ma il grosso della cifra veniva pensato come fosse un capitale aziendale.

Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 10:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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