VENEZIA - Tra gli undici e i dodici anni è finita nel mirino dei bulli della sua classe. Marta (il nome è ovviamente di fantasia), che oggi di anni ne ha 13, non sa nemmeno come sia iniziata, tantomeno il perché. Sarà stato quel suo sviluppo precoce che le ha donato il corpo di una ragazza ben più grande della sua età, sarà stato quel mix di timidezza e sensibilità che spesso per i prepotenti ha lo stesso effetto del sangue sugli squali: un richiamo irresistibile. A un certo punto sono iniziati gli scherzi e le battute, che sono degenerati ben presto in insulti e molestie. Ha incassato in silenzio per mesi, finché non ce l’ha fatta più e ha chiesto aiuto. Morale: per uscire da quell’inferno ha dovuto cambiare scuola, città e amici. Problema risolto? Purtroppo no: i segni di quell’esperienza faticano a sparire e adesso rischia di perdere l’anno perché da mesi soffre di una forma di febbre sconosciuta che le impedisce di frequentare le lezioni.
IL RACCONTO
A raccontare la storia di Marta, che vive nel Veneziano, è la mamma, che ha sporto denuncia contro quei bulli (senza successo: l’inchiesta è stata archiviata perché all’epoca dei fatti i ragazzini erano in età non imputabile) e contro la scuola. «Un suo compagno l’ha presa di mira e poi si sono aggregati anche gli altri - racconta - Marta è alta per la sua età, è una bella ragazza, magra, dimostra 16 o 17 anni. Hanno cominciato facendole dei video con i cellulari in classe in cui la prendevano in giro, video che poi si passavano nelle chat». Il confine tra scherzare e vessare non è così sottile. Quando il gioco diventa pesante, ossessivo, con un unico obiettivo, si finisce per oltrepassare il limite. «La chiamavano “cavalla”, “tr...”. Una volta quel bullo le ha detto davanti a tutti: “Guarda che ti mettiamo una catena al collo”, mimando il gesto con una catena da bicicletta. In qualche altra occasione l’hanno circondata e palpeggiata. Non finivano mai, mai. Una volta durante la Dad sono dovuta intervenire perché la stavano insultando tutti mentre durante la lezione non c’era l’insegnante. E il dirigente? Mi ha ripreso, sostenendo che il mio fosse un comportamento da biasimare perché era come se fossi entrata in classe».
I PRIMI SINTOMI
Marta, nel frattempo, iniziava a stare male. «Era sempre in silenzio, si teneva tutto dentro.
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