Boxe ko, crescono i combattimenti nei Fight club clandestini

Giovedì 7 Maggio 2020 di Marco De Lazzari
Brad Pitt in una scena del film Fight Club
2

MESTRE -  La noble art è al tappeto e, non solo in senso figurato, rischia di non riuscire a rialzarsi. Perché se il coronavirus non ha ovviamente risparmiato nemmeno il movimento pugilistico, frastornandolo come un gancio al mento, il diretto allo stomaco che può sentenziare il ko ha i confini noti e vaghi al tempo stesso di quella piaga chiamata clandestinità. Combattimenti organizzati dove capita, in qualche capannone di periferia più o meno fatiscente, senza veri regolamenti a liberare una violenza fine a sé stessa e corredata da altre forme di illegalità, come nel film Fight Club con Brad Pitt. Un mondo parallelo a quello dei ring perbene, scoperchiato con un accorato grido d'allarme da Luciano Favaro, presidente di una Union Boxe Mestre ferma al palo da metà febbraio.

«SILENZIO ASSORDANTE»
«Per tutti gli altri sport si discute su come tornare in pista, attorno al pugilato invece il silenzio è a dir poco assordante anche da parte di Federazione e Coni la denuncia del dirigente mestrino tenuto conto che il 2020 sarebbe stato l'anno olimpico a Tokio. A causa del virus sono saltati campionati, tornei e quelle 6-7 riunioni che anche noi organizzavamo ogni anno. Una situazione grave perché così decine di atleti per avere uno sfogo entreranno in quel sottobosco di incontri attorno ai quali ruotano scommesse e malavita». Un fenomeno al quale il regolare svolgimento dell'attività pugilistica ha sempre posto un freno. 

L'ALLARME
«La clandestinità esiste ed è dilagata con la moda delle arti marziali miste MMA e di allenarsi per sopraffare l'avversario. Prima nel Trevigiano e nel Vicentino attorno agli ambienti militari, ora stanno prendendo piede anche in zona Mestre, ex sale da ballo, locali chiusi, capannoni nei quali girano soldi che fanno gola a ragazzi da recuperare, per lo più africani o dei paesi dell'est». «Pur di cominciare a guadagnare qualcosa si fanno massacrare dal mattino alla sera prosegue Favaro descrivendo un quadro sconfortante duellanti reclutati per diventare carne da macello per 30 euro. Il Mandingo che sfida il Don Chisciotte di turno in combattimenti all'americana, a mani nude o con guanti distrutti, caschetti non se ne vedono, se le danno e basta, nessuna tecnica ma solo botte. Un mondo che con le nostre palestre chiuse crescerà ancora col giro di droga e soldi che ci sta dietro. Ci abbiamo messo molti anni a limitare questa piaga, entrati in palestra si mettevano in riga, ora questo controllo sociale verrà meno». Il problema della boxe è che lo scontro fisico non è solo un'eventualità sul ring. «Noi a Mestre abbiamo un centinaio di praticanti dagli agonisti agli amatori, nel Veneziano circa 250, in Italia 1400 società affiliate alla Fpi senza contare le palestre che fanno attività commerciale. Era in corso un boom degli sport da combattimento, ma se a noi vietano il contatto diventiamo minuetto, una ginnastica di mantenimento senza il fascino del sudore e della sofferenza. Piuttosto ci dicano fermatevi per due anni e poi riprendete». 

PROBLEMA SPAZI
La sanificazione delle palestre sarebbe solo il primo passo. «Il grosso problema sono gli spazi, si parla di una distanza di 7 metri tra pugili, senza sfiorarsi mentre si allenano con specchio e sacco. Noi al Palancilotto di Mestre abbiamo una sala di circa 80 mq, è impossibile, è la fine del pugilato. Dalla Fpi si sa solo che restituirà il 50% delle tasse di affiliazione versate e che dal 18 giugno i pugili azzurri potranno allenarsi in una palestra che avrà dei contributi per aprirsi esclusivamente a loro». Luciano Favaro conclude con una domanda aperta. «Qualcuno si ricorda di noi? Mi rivolgo anche al Comune di Venezia, magari potesse metterci a disposizione alcune palestre scolastiche chiuse».
 

Ultimo aggiornamento: 11:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci