Tagliapietra, l'imperatore del baccalà è nato a Burano. E fattura oltre 15 milioni all'anno

Lunedì 11 Marzo 2019 di Edoardo Pittalis
Tagliapietra, l'imperatore del baccalà è nato a Burano. E fattura oltre 15 milioni all'anno
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Ermanno, nato a Burano 68 anni fa, è il maggiore importatore di stoccafisso in Italia. Guida, assieme ai tre figli, l'azienda di Mestre che sta per compiere il mezzo secolo e fa un fatturato di oltre i 15 milioni di euro all'anno «Vado direttamente in Norvegia per ordinare il prodotto: in totale 10.000 balle, ognuna di 50 chili e di 50 pesci».




L'INTERVISTA
«Il top è mangiarlo lesso, bollito, conso, a pezzettoni, con un filo d'olio, pepe e sale. Si sbatte leggermente nella pentola dove si è cotto. Il segreto del baccalà è tutto qui. Per i veneziani, poi, è un discorso particolare: non ci sono sarde, cipolle, formaggio, patate; c'è solo il baccalà e deve essere speciale». Ermanno Tagliapietra, nato a Burano, 68 anni, del baccalà sa tutto. È il maggiore importatore in Italia, guida l'azienda di Mestre che sta per compiere il mezzo secolo. Fatturato oltre i 15 milioni di euro. Tre figli inseriti nell'impresa: Luca, Daniele e Valentina.
Compra ogni anno 10.000 balle, ognuna di 50 chili, 50 pesci per balla: «Battiamo pesce per pesce». A Venezia una  volta i bambini battevamo a mano nei campielli, fino all'avvento dell'energia elettrica. A Codroipo il mulino Zoratto batte ancora il baccalà come un tempo, sfruttando le macine: una dura di pietra e una morbida di legno per non danneggiare la fibra.
Ogni anno Tagliapietra va almeno tre volte in Norvegia, nelle isole Lofoten, da dove arriva tutto lo stoccafisso, a 200 chilometri dal Circolo polare artico; per tre mesi non tramonta mai il sole. È qui che nel 1432, spinto da una tempesta che gli aveva portato via carico e nave, arrivò il veneziano Pietro Querini che rimase colpito dall'essiccazione del merluzzo (stoccafisso) che da allora avrebbe avuto fortuna sulle tavole italiane.
Che cos'è il baccalà?
«Il merluzzo è un pesce straordinario dei Mari del Nord, con una capacità riproduttiva stupefacente. Dal baccalà parte una serie di lavorazioni con l'apertura al congelato e ultimamente anche al fresco. Una volta costava poco, ma arrivavano qui selezioni non da prima scelta ed era chiamata italiana. Per noi veneti il baccalà è importantissimo, nelle campagne a fine Ottocento c'era tanta polenta e basta, ci si ammalava di pellagra. Arrivava questo pesce, facile da tenere e a buon prezzo e che era anche quasi una medicina: l'olio di fegato di merluzzo certe generazioni lo conoscono bene».
Vi siete sempre occupati del commercio di baccalà?
«Tutto è iniziato cinquant'anni fa con mio padre Angelo che era il primo di nove figli di una famiglia di ortolani che lavorava a mezzadria tra Burano, Mazzorbo e Sant'Erasmo sui terreni e le valli di un conte. Troppi fratelli per vivere degli orti, e Angelo dopo le elementari andò a lavorare in fornace a Murano. Ma l'alternarsi di caldo e freddo, il fatto che non c'erano mezzi di trasporto e ci si doveva spostare in barca e vogare con qualsiasi tempo, finirono per minare il fisico di papà. Riprese gli studi, la mattina sulla terra e la sera alle Professionali, fino al brevetto di motorista di aerei militari e civili. Era appena iniziata la seconda guerra, lavorava all'aeroporto del Lido che allora si chiamava Littoria. A guerra finita non c'era più niente da aggiustare, nel 1947 trovò posto come impiegato alla cooperativa San Marco di pescatori di Burano e poco dopo come scrivano al mercato all'ingrosso di Rialto. Ma tutto è incominciato quando ha ottenuto un posteggio nel nuovo mercato all'ingrosso del Tronchetto mantenuto fino a quando lo stoccafisso è diventato la nostra attività».
Lei quando è entrato nell'impresa familiare?
«Sono andato via presto da Burano, quando hanno aperto il mercato all'ingrosso del Tronchetto mio padre non ce la faceva più ad alzarsi la notte e viaggiare con le barche dei pescatori che partivano all'una della notte. Così nel 1953 siamo venuti ad abitare a Mestre e c'era la filovia per Venezia. Il mercato chiudeva solo due giorni, a Pasqua e a Natale. Avevo 15 anni quando ho dovuto interrompere il corso per geometra dove ero iscritto dopo aver provato al ginnasio che era la mia passione. Sono entrato nel lavoro che mancavano due settimane a Natale, a tre gradi sotto lo zero e all'aperto dovevo scrivere con la penna e le dita ghiacciate».
Le è mancata l'adolescenza?
«Siamo tre fratelli, io, Paolo e Anna che è gravemente handicappata e mio padre ha fondato un'associazione di genitori e familiari del Gris di Mogliano del quale è stato a lungo presidente. Da bambino mi ricordo soprattutto l'estate a Burano, quando andavo da nonno Carlo che aveva gli orti appena smontavi dal battello, una mura di mattoni rossi e dietro quello che per me era l'orto delle meraviglie. Burano è sempre stato un paese di pescatori che adoperavano gli zoccoli per le calli e questo rumore mi svegliava la mattina presto. Ma appena entravi nell'orto cessavano tutti i rumori e vedevi soltanto carciofi, l'uva, l'albero di giuggiole, i melograni. Nonno mi prendeva in braccio e mi buttava tra i rami delle giuggiole. Poi è tutto finito, la speculazione ha cancellato gli orti. A 15 anni iniziai il lavoro, gli orari mi impedivano di vivere come un ragazzo, non avevo ferie, non mi potevo ammalare. Non ho nemmeno fatto il militare, non ho vissuto bene la mia giovinezza, l'ho fatta di sacrificio. Per questo quando ho capito che i figli volevano entrare nell'azienda di famiglia non volevo che sacrificassero la loro vita come avevo fatto io. Ho costruito per loro un'impalcatura diversa, ma tutti sono passati per battere baccalà, se volevano soldi dovevano battere o fare consegne. Per comprarsi una chitarra, Luca ha lavorato tutta l'estate».
Poi è arrivato il baccalà
«A Tronchetto non c'erano altri spazi, ci siamo trasferiti in una laterale di via Torino a Mestre, in una strada non ancora asfaltata. Abbiamo incominciato con un magazzino frigorifero, un deposito e la lavorazione del pesce. Era un momento in cui gli altri chiudevano sotto la spinta della grande distribuzione, il nostro era un prodotto di alternativa al pesce fresco. Certi anni facevo 50 mila chilometri con la macchina per rendere il lavoro meno dipendente dal solo mercato. Il baccalà è sempre stato penalizzato dalla sua storia, una maniera vecchia di portarlo avanti che arrivava dall'Ottocento: lo si doveva battere, mettere sotto l'acqua, lavorarlo ancora Ogni anno è diverso, devi valutare la pesca, il tempo, la natura, non siamo noi uomini a farlo. Bisognava vendere lo stoccafisso tagliato, confezionato. Poi abbiamo sviluppato il passo successivo: tagliarlo e metterlo secco in sottovuoto, grazie a un brevetto di mio figlio Luca che ha vinto anche il premio per l'innovazione alla Fiera di Rimini. La fase successiva è stata quella del pastorizzato: è la linea dello stocco facile, dà alla gente il piacere di cucinarlo a casa, in dieci minuti si può fare il mantecato, in mezz'ora alla vicentina».
Come è stato il primo viaggio in Norvegia?
«La prima volta è stata un'avventura, per telefax ricevevo risposte vaghe sulle ordinazioni, così sono partito con un interprete. Ma a Oslo abbiamo trovato lo sciopero degli aerei, abbiamo fatto 24 ore in treno per arrivare alla banchina dei battelli per l'arcipelago. Era fine maggio e il sole non tramontava mai, sono arrivato sfinito, senza mangiare, senza cambio perché i bagagli erano bloccati in aeroporto dallo sciopero, non c'erano negozi dove comprare biancheria. E pioveva continuamente. Ma ho risolto il problema e imparato che bisognava essere lassù ogni anno, per vedere e prepararsi. Eravamo una sessantina di esportatori, oggi siamo ridotti a 15. Il consumo è calato, è cambiato il clima, sono mutate le temperature, è proprio che a volte c'è troppo caldo e altre troppo freddo e questo per lo stoccafisso non va bene!».
Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 13:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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