«Nostro figlio non è pronto per la prima elementare», ma per la burocrazia un anno in più di asilo è impossibile

Domenica 28 Giugno 2020 di Alice Carlon
«Nostro figlio non è pronto per la prima elementare», ma per la burocrazia un anno in più di asilo è impossibile (Foto di Free-Photos da Pixabay)
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VENEZIA Pietro ha 6 anni, è un bambino con disabilità, certificato ai sensi della legge 104 e da settembre 2020 dovrebbe cominciare la prima elementare. I genitori durante l'ultimo anno di asilo si sono però resi conto che Pietro non è ancora pronto per la scuola dell'obbligo: «Vedendo nostro figlio ancora poco autonomo sotto vari punti di vista, senza le capacità cognitive primarie e poco incline ad adattarsi facilmente alle novità, abbiamo ritenuto opportuno richiedere che si potesse fermare un anno in più alla scuola dell'infanzia per permettergli di maturare nel rispetto dei suoi tempi» spiegano papà Stefano e mamma Marika.

Comincia quindi una lunghissima ed estenuante odissea burocratica per lasciare Pietro un anno in più all'asilo, anche perché tra influenze e bronchiti, dovute alla salute estremamente cagionevole, il bambino aveva perso mesi e mesi di scuola. «L'arrivo del Covid-19 ha aggravato la situazione di nostro figlio, costretto a interrompere tutta la sua preziosa routine e portandolo a una netta regressione. Nei mesi scorsi continuano i genitori - abbiamo interpellato tutte le figure che seguono il bambino: neuropsichiatra, logopedista, neuropsicomotricista, pediatra, educatrice e ognuno di loro, conoscendo il livello di difficoltà e fragilità del bambino, si sono mostrati favorevoli a riconoscere che sarebbe stato un bene per Pietro permanere un anno in più all'infanzia e che rispettare i suoi tempi avrebbe giovato al futuro inserimento alla scuola primaria» spiega Marika.

PALETTI INSORMONTABILI
Se dal lato clinico i genitori non hanno trovato ostacoli, da quello legale però le cose si sono dimostrate molto più complicate del previsto: «Un tempo la circolare 375/75 concedeva senza difficoltà la procedura di deroga all'obbligo scolastico per i bambini certificati, ma a partire dalla pubblicazione nel 2014 della nota del Miur n.547 sono stati posti molti paletti. In pratica, sulla base di questa nota, l'Ufficio scolastico territoriale di Venezia ha dato disposizioni severe alla neuropsichiatria del Ulss 3 di non poter più chiedere trattenimenti all'infanzia nelle loro diagnosi funzionali perché questa questione non è di competenza sanitaria ma squisitamente scolastica».

La motivazione della nota riguarda il diritto allo studio e all'inclusione scolastica di tutti i bambini, compresi quelli certificati, ma i genitori di Pietro contestano l'applicazione generalizzata della norma, soprattutto in seguito all'eccezionalità derivata dall'emergenza sanitaria: «I bambini disabili non sono tutti uguali e per alcuni disporre di un anno in più di infanzia davvero potrebbe giovare. Un anno di lavoro in un ambiente più flessibile e meno strutturato della primaria».

RIFIUTO FRUSTRANTE
L'odissea burocratica continua, tra pareri, telefonate e mail alle varie istituzioni coinvolte, dall'Istituto comprensivo San Girolamo all'Ufficio scolastico passando per vari rappresentanti dell'Ulss 3. Il 22 maggio i genitori però ricevono una comunicazione dalla dirigente della San Girolamo Barbara Bernardone in cui si avverte che la loro richiesta di deroga non era stata accolta: «Dopo un anno di trafila burocratica, ricevere questo rifiuto è stato un colpo durissimo commenta Marika e dopo aver avuto accesso agli atti, abbiamo appreso che l'Ufficio scolastico ha scaricato la responsabilità sulla dirigente e che un eventuale trattenimento poteva essere concesso solo se la scuola primaria non era in grado di accogliere il bambino.

Nel documento si legge infatti che: La mancata preventiva costruzione di un percorso di accompagnamento degli alunni e delle loro famiglie rientra nella responsabilità diretta e personale della gestione dirigenziale, anche per quanto concerne l'eventuale danno erariale connesso a un eventuale ingiustificato trattenimento alla scuola dell'infanzia, e l'aggravio determinato dall'allungamento dell'attività di sostegno da garantire agli alunni medesimi». «Quello che abbiamo capito - concludono i genitori di Pietro - è che le necessità dei bambini disabili, la loro fragilità, il diritto a essere rispettati nei loro tempi contano nulla a fronte della burocrazia e, dispiace dirlo, del risparmio sui costi. Abbiamo reso pubblica la vicenda per nostro figlio ma anche per i tanti che dovranno subire questo calvario di ingiustizia, dove l'autotutela dei burocrati prevale sul bene dei più fragili, un fallimento dello stato sociale».
Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 09:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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