Il boss di via Piave "torna a casa":
concessi i domiciliari a Keke Pan

Sabato 3 Ottobre 2015 di Gianluca Amadori
Il boss di via Piave "torna a casa": concessi i domiciliari a Keke Pan
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Arresti domiciliari per Keke Pan, detto "Luca", fino a qualche anno fa indicato come il "boss" cinese di via Piave a Mestre. A concederli è stato il Tribunale del riesame di venezia, accogliendo il ricorso presentato dal difensore dell’imputato, condannato in primo grado a sette anni e otto mesi, poi ridotti in appello a cinque anni e sei mesi di reclusione. Keke Pan ha già scontato finora metà della pena, e precisamente due anni, nove mesi e 20 giorni di carcere. Di conseguenza, in attesa che la Corte di Cassazione metta la parola fine in via definitiva al processo, i giudici del Riesame hanno ritenuto che il quarantenne possa uscire dal carcere e scontare il residuo di pena a casa di un amico, lontano da Mestre, a Enna in Sicilia.



Il presidente del Tribunale del riesame, Angelo Risi, ieri ha precisato che i beni sequestrati a Keke Pan sono tutt’ora sotto sequestro in attesa che la sentenza della Suprema Corte faccia diventare definitivo il provvedimento di confisca emesso dal Gup Massimo Vicinanza e confermato dalla Corte d’Appello. Gli unici immobili restituiti al legittimo proprietario (un anno fa) sono i 10 che appartengono ad un professore universitario, il quale li aveva affittati a Keke Pan ed è riuscito a dimostrare di non aver agito in qualità di prestanome del cinese: gli immobili sono suoi e fanno parte del patrimonio di famiglia.

Tutti gli altri appartamenti, negozi, uffici e garage oggetto del provvedimento di confisca (23 in tutto) sono tutt’ora sotto sequestro, assicura il Tribunale: l’amministratore giudiziale, il commercialista Danilo Capone, li ha concessi ad un canone di affitto agevolato al Comune di Venezia il quale si è fatto carico dei necessari interventi di recupero.

Keke Pan è accusato di essere stato il promotore di un’organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: nel corso dell’inchiesta è emerso che faceva figurare inesistenti posti di lavoro al fine di regolarizzare la posizione di centinaia di cittadini stranieri, di nazionalità cinese ma non solo. Al sodalizio criminoso, di cui facevano parte anche madre e zio di "Luca", viene contestato di aver stipulato contratti di locazione e di lavoro fittizi per giustificare la presenza nel territorio di queste persone, avvalendosi della colaborazione di altre persone, processate a parte.
Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 09:08
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