Argia Sgreva Furlani, 110 anni: «Il mio segreto per sopravvivere a due guerre e a due epidemie, la spagnola e il Covid»

Lunedì 30 Gennaio 2023 di Edoardo Pittalis
Argia Sgreva Furlan com'è ora a 110 anni e il giorno del suo matrimonio

VENEZIA - Sembra di ascoltare un audiolibro. Lei è la storia. Argia Sgreva Furlani, 110 anni, la veneziana più vecchia, racconta con la voce appena tremolante e ogni tanto alza il tono come succede a chi non sente bene e ha paura che gli altri non capiscano. «Ho vissuto due guerre mondiali: avevo pochi anni quando è scoppiata la Grande Guerra, siamo stati rifugiati ad Altavilla Vicentina dove passavano le truppe dirette alle trincee. Durante la seconda guerra facevo la maestra a Torre di Mosto, mio marito era al fronte. A terrorizzarci sono stati soprattutto i bombardamenti: dal paese si vedevano le bombe cadere su Portogruaro e su Latisana. Arrivavano le notizie dei morti e quelle delle stragi dei tedeschi. Sono salita con gioia sul primo carro armato dei liberatori». «Ho passato anche due epidemie: sono scampata alla terribile Spagnola; adesso il Covid, ho fatto le quattro vaccinazioni e farò la quinta senza problemi».
Argia, nata a Mestre il 19 agosto 1913, è cresciuta a Venezia.

Oggi vive con la figlia Anna Maria a Milano. Con nipoti e pronipoti ha festeggiato le 109 candeline. Guarda la televisione, legge il quotidiano, soffre perché il difetto all'udito la porta a isolarsi e si rammarica di perdere ogni tanto la lucidità. Non la memoria. Racconta la figlia: «L'altro giorno mi ha detto che voleva andare a scuola. Le ho risposto: Ma ti pare che a 110 anni devi ancora andare a scuola!. Hai ragione, ha ammesso».

Quando incomincia la storia di Argia?
«Sono nata a Mestre, mio padre Tiziano era un ragioniere ispettore delle Ferrovie dello Stato, durante la Grande Guerra era addetto al controllo dei treni civili e militari. Mia madre si chiamava Eder Zotti. Il mio nome stranissimo viene dalla mitologia greca, c'è nella tragedia di Edipo, non ho mai capito perché mi abbiano chiamato così. Molto presto per il lavoro del papà ci siamo trasferiti a Venezia, a San Marcuola. Ricordo che suonavo il pianoforte, veniva una maestra a darmi lezione. In villeggiatura andavamo ad Altavilla Vicentina, dove la famiglia aveva una casa, e tornavamo per l'inizio delle scuole. Qualche anno fa uno studioso di storia locale di Altavilla mi ha chiesto di raccontare i miei ricordi. Ho frequentato le magistrali a Venezia, appena diplomata maestra ho avuto come prima destinazione Torre di Mosto. Erano gli anni del fascismo, per lavorare bisognava avere la tessera e prestare giuramento. Doveva averla anche mio padre che odiava le parate del sabato fascista con tanto di saggio ginnico. Diceva sempre: Devo fare il pagliaccio ogni sabato in Piazza San Marco. Dopo il matrimonio mi sono ritrovata con uno zio fascista sfegatato e un altro, un Pizzini, da parte di mio marito, antifascista convinto tanto che è stato il primo sindaco del suo paese dopo la Liberazione».
La giovanissima maestra è al suo primo incarico, si presenta a Marcella Pizzini, responsabile delle insegnanti della zona. Mentre accompagna al pianoforte una recita scolastica nel teatro del paese, conosce Luigi Furlani studente di veterinaria a Bologna. Si sposano dopo la sua laurea, nel 1937; un anno dopo nasce l'unica figlia Anna Maria.

Si è trovata in mezzo a un'altra guerra?
«Allo scoppio della guerra, nell'estate del 1940, mio marito è partito per il fronte. Sono rimasta sola con mia mamma e con mia figlia. Ho continuato a insegnare, non ho mai saltato un giorno di scuola. Luigi è tornato con gravi problemi polmonari, congedato come grande invalido. Ricordo bene la paura per Pippo che era il terrore della notte: era l'aereo che apriva la strada ai bombardieri alleati. C'era un rifugio in cortile, nella vigna, una specie di trincea coperta di foglie e canne; quando suonava l'allarme correvamo tutti a nasconderci. Lo zio Angelino portava con sé tutte le lauree dei familiari perché durante la Grande Guerra i documenti della famiglia erano andati bruciati e dopo era stato difficile dimostrare di avere i titoli per lavorare. La loro era una famiglia di farmacisti, senza i titoli non potevi nemmeno aprire. Dopo l'8 Settembre i tedeschi divennero i padroni del Veneto; a Torre di Mosto hanno occupato la casa dei Pizzini-Furlani e ne hanno fatto il comando locale. Mio marito al ritorno dal fronte mi aveva aperto gli occhi, in guerra aveva visto la realtà: era stato mandato in Jugoslavia come tenente e da veterinario aveva la responsabilità dei cavalli. Non poteva dire la verità, che la guerra si sarebbe persa, sarebbe stato accusato di disfattismo e in divisa poteva costargli la vita. È tornato molto critico verso il fascismo e non me l'ha mai nascosto. Anche se eravamo lontano dalla città arrivavano le voci di quello che accadeva, la nonna veneziana raccontava delle deportazioni delle famiglie ebree del Ghetto. Una giovane maestra mia amica era ebrea, è stata nascosta da queste parti da una famiglia di contadini che la presentava come una loro parente. È ritornata a insegnare appena finita la guerra, tra le sue prime alunne c'è stata mia figlia».

I giorni della Liberazione?
«Quei giorni sono stati un po' strani. Alla notizia dell'arrivo degli Alleati ci siamo trasferiti nella casa di amici contadini per paura della rappresaglia dei tedeschi in fuga. Luigi come veterinario i contadini li conosceva tutti, li aiutava anche a fare i documenti per la pensione. Ricordo uno che aveva una scheggia di granata nel cervello e questo gli bloccava spesso i movimenti, eppure non riusciva a farsi riconoscere l'invalidità per la pensione di guerra. Mio marito ha messo in una valigia le poche cose preziose che avevamo, sperando che non venissimo controllati perché c'erano posti di blocco a ogni passo. Mi ricordo bene l'arrivo delle truppe neozelandesi, i loro carri armati, sono salita su un carro dei liberatori. Eravamo lungo il fossato e abbiamo visto gli Alleati che avanzavano e con loro avanzava la libertà. Mio marito si è messo piangere, era la prima volta che l'ho visto piangere».

Come è stato il ritorno alla normalità?
«A guerra finita, dopo aver votato per la Repubblica, ho continuato a insegnare, mio marito era invalido e aveva difficoltà a trovare un lavoro, Anna Maria era andata a studiare a San Donà di Piave dalle suore. Poi si laureerà in lettere a Padova, ogni giorno su e giù in treno per Padova. A Torre di Mosto ho insegnato per 40 anni a generazioni di alunni, ne ho avuto migliaia tra i banchi delle mie classi. Il Comune mi ha regalato una medaglia per la dedizione all'insegnamento».
Anna Maria, dopo aver insegnato a lungo a Mirano, si è spostata nel 1999 a Milano con i tre figli e la madre. È Anna Maria che adesso racconta: «Abitavamo vicino al Conservatorio, mamma andava a piedi fino al Duomo dove si fermava per riposarsi dopo la passeggiata e prepararsi per il ritorno. Diceva che Milano le piaceva moltissimo, per i negozi, per la gente. È stata una nonna energica e valida, mi ha aiutato a crescere i figli e i nipoti. Per loro faceva gli gnocchi a mano, studiava con loro, era brava in latino, traduceva le versioni e le nascondeva perché il nipote non le copiasse».
Fino ai 100 anni la signora Argia è andata ogni estate in vacanza a Eraclea, dove nel 1966 aveva comprato una casa. «Quando ho compiuto i 100 anni il Comune di Eraclea mi ha premiato come la più vecchia villeggiante. Per i 100 anni anche il Comune di Milano mi ha consegnato l'Ambrogino d'oro, è venuto un assessore a casa e c'è stata una piccola cerimonia. Si sono ricordati tutti di questa vecchia maestra». Argia Sgreva Furlani accarezza la fotografia in cui lei, attorniata dai pronipoti, spegne le candeline sulla torta per i 109 anni. La figlia Anna Maria dice che è tempo di chiudere l'album dei ricordi. La vecchia signora non è d'accordo e con la mano fa il gesto di chi vuol dire: parla, parla, tanto non sento.

 

Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 10:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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