Animali troppo umanizzati. Lo scienziato avverte: «Non viziamoli, è un errore»

Martedì 2 Agosto 2022 di Adriano Favaro
Animali troppo umanizzati - Foto di Kathy Büscher da Pixabay
1

Mauro Bon, scienziato veneziano, ricercatore al Museo di storia naturale, invita ad avere un rapporto corretto con i propri  beniamini. «È allarmante che le bestiole vengano percepite come “umane”. Hanno una loro sensibilità e intelligenza, ma sono altro da noi». E l’ecosistema si modifica: nelle città arrivano scoiattoli, cinghiali, addirittura cervi che scendono in pianura.

Un grammo. È il peso del più piccolo mammifero vivente in Italia. Lo si trova (ma lo hanno visto in pochi) fino ai 600 metri in quasi tutte le regioni, isole comprese. I più grossi della famiglia arrivano anche a tre grammi: il record è del mustiolo, piccolissimo topolino che forse nemmeno gli orsi bruni hanno mai visto, loro che possono pesare fino a trecentomila volte in più dei piccolissimi roditori, cioè 300 chili. Sono solo alcuni dei dati contenuti in uno dei lavori più interessanti che si trovano in libreria in questi giorni Mammiferi terresti d'Italia Riconoscimento, ecologia e tricologia di Paolo Paolucci e Mauro Bon ( Wba Handbooks11, Verona, 40 euro). È Mauro Bon, scienziato veneziano, uno dei curatori del museo di Storia Naturale di Venezia, Giancarlo Ligabue che ci racconta l'avventura dei mammiferi italiani.


Questo libro copre un vuoto di decenni.
«Molti delle 124 specie di mammiferi classificati nel nostro paese (sono 5 mila in tutto il mondo - ndr) sono notturni e vivono sotto terra: una faticaccia trovarli e ancora più distinguerli. Si assomigliano tanto che serve il Dna per costruire una carta d'identità precisa».
Tutto mentre l'Italia è invasa da 12 mila specie aliene tra animali e vegetali.
«Abbiamo segnalato anche i mammiferi avvistati raramente, quelli alieni o non ancora acclimatati.

Del resto fino a qualche anno fa da noi sembravano scomparsi lupi, orsi, lontre e altre specie. Invece sono tornati e si sviluppano bene».


A proposito di lontre è vera la storia del vescovo di Caorle che acconsentiva l'uso dei salami di lontra durante la Quaresima...
«Certo. A Caorle nelle liste degli alimenti dei monaci medievali si trovavano oltre che le lontre (scomparse da tempo però) anche le folaghe, carne acquatica dicevano, e se le mangiavano tranquillamente».


Torniamo all'invasione di animali che arrivano da altri paesi o continenti: fa paura?
«Da noi è arrivato di tutti, dai grandi animali, ai piccoli, agli insetti, a vegetali e parassiti. Questo ricombina l'equilibrio e più spesso crea squilibri, anche allarmanti».


Come quello che è accaduto con le nutrie.
«Assieme ai visoni venivano allevate (castorino, così si identificava la pelliccia ndr) nel feltrino e nel bellunese, pedemontana, negli anni Sessanta. Per farne pellicce. Poi qualcuno è scappato, altri sono stati liberati da blitz di gruppi organizzati; e il territorio è stato invaso da questi animali. Come i procioni, specie americana commercializzata per compagnia domestica e fuggita dalle case. Anche loro cominciano ad innestarsi in varie regioni del Centro Nord, li conosciamo come orsetti lavatori, ma non è così vero che lavino il cibo».


Per non dire della guerra degli scoiattoli.
«Quello grigio arrivato dagli Usa sta occupando gli spazi dello scoiattolo rosso europeo».


E i cinghiali?
«I cinghiali sono stati introdotti nel secondo dopoguerra da alcune categorie di cacciatori che però hanno utilizzato specie ibridate con maiali, e quindi portatori di difetti. Si sono sviluppati facilmente; ora devastano molti territori in cerca dei tuberi da mangiare».


Ogni tanto un cervo arriva in città e nelle prime pagine dei giornali.
«Il cervo è tradizionalmente un animale di pianura, che da noi, per difficoltà ambientali si era spostato in quota. Ora si sta espandendo e rioccupa la posizione originaria. Semmai dovremmo preoccuparci di più della crisi degli alpeggi e dell'enorme crescita dei boschi arrivati a dimensioni come nel medioevo. Poco curati i boschi sono un problema per animali e uomo».


Danilo Mainardi diceva che noi umani abbiamo spesso una dimensione sbagliata nel rapporto con gli animali. E che l'umanizzazione compiuta dai cartoni Disney ha provocato effetti pericolosi. L'orso o la pantera non sono buoni perché finiscono in un film; sono orsi e pantere e basta.
«Mainardi è stato uno dei miei maestri. Sì quando vediamo uno scoiattolo scatta in noi l'idea di Cip & Ciop dei cartoni animati. Invece dobbiamo ricordaci che sono a-n-i-m-a-l-i. E quindi devono, come tutti gli altri animali che non vivano in casa, procurarsi cibo da soli. Non dare da mangiare agli animali selvatici, liberi, vuol dire amarli, non è vero il contrario. Fornendo cibo non rispettiamo le loro leggi».


Invece
«Faccio fatica a convincere anche gli osservatori che collaborano con noi: fate foto, fate schede ma non date da mangiare a nessuno. E in trent'anni di studio ho osservato che l'uomo considera l'animale come un singolo individuo: invece quell'essere ha prima di tutto rapporti con i suoi simili e l'ambiente. Forse c'è qualche malattia nel nostro io che ci fa sentire superiori; certo manchiamo di una visione naturalistica ampia».


Così la gente fa girare i cani con scarpette e cappottini.
«Lo dicono gli etologi e anche gli psicologi per cani che questo è un male. Bisogna lasciare che l'animale si senta animale; gli farà solo bene. È allarmante che sia percepito come un qualcosa di umano. Ha sua sensibilità e intelligenza, ma è altro da noi. Comunque avere un animale in casa, anche per un bimbo è un grande valore aggiunto per la crescita. Ma nel reciproco rispetto: per questo ci vuole cultura, conoscenza».


La gente ha paura degli animali?
«Sì, soprattutto di orsi e lupi. Ci telefonano in tanti al museo; e noi spieghiamo come stiano davvero le cose; la realtà non è così drammatica come appare o viene raccontata».


Paura e curiosità; e che altro arriva nelle vostre stanze di scienziati?
«Una volta la gente veniva col sacchettino di plastica e l'uccellino o il roditore morto: cos'è? chiedevano. Adesso fotografano e mandano con internet le loro scoperte. Ah, questa pare sia l'epoca delle foto di cacche. Ne riceviamo spesso e ne abbiamo riconosciuta poco fa una di orso, per esempio; utile collaborazione. Ma ci sarebbe da scrivere un libro su questo dialogo tra gli studiosi e la gente. Come quella volta che arrivò un signore di Vicenza con una lunga pietra: ce la mostrò convinto di aver trovato un pene fossile di dinosauro. Si sbagliava».

Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 08:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci